“Dell’Oltrepo Pavese, i nomi sono innumerevoli (…). I rossi, di regola, sono densi, spessi, spumosi, quasi dolci al primo assaggio, ma poi rivelatori di un fondo gradevolmente amarognolo che, sul posto, chiamano “ammandorlato” o “mandorlato”. Uno di questi vini è il Barbacarlo, un altro è il Sangue di Giuda, un altro ancora è il Buttafuoco”.
Sono parole di Mario Soldati, in Vino al vino (Oscar Mondadori, pag. 120) che, meglio di ogni altre, sintetizzano con la consueta maestria, le caratteristiche precipue di un vino.
Il Buttafuoco, battezzato da Carlo Porta Butafòg, ovvero che butta come il fuoco, nei primi dell’Ottocento, non era certo quello assaggiato da Soldati, nel 1968, durante il suo Primo Viaggio nelle terre del vino italiano.
Soldati parla di un vino da bere nella scodella, nella quale lascia un velo violaceo e vischioso “che fa parte del suo fascino semplice e brutale”.
Il Buttafuoco di oggi nasce dalla fatica dell’uomo, come tutti i vini degni di questo nome e, mantenendo in fondo all’anima il suo fascino primordiale, è riuscito ad evolversi fino a diventare un vino che può essere paragonato, per molti versi, ai grandi vini bordolesi.
La zona di produzione è lo sperone di Stradella, un crinale spartiacque tra i torrenti Scuropasso e Versa, che si trova nella prima fascia collinare dell’Oltrepo Pavese.
Un mosaico di vigne, prati, coltivi e boschi, un territorio d’eccellenza che garantisce alle viti di godere di un’esposizione giornaliera molto intensa e di correnti durante le ore notturne per consentire una maturazione completa e graduale dei grappoli. È una sottozona in grado di dare una base enologica con peculiarità uniche, specie nella zona di Canneto Pavese e, marcatamente, alla Solinga dove i terreni hanno una tessitura di ghiaia, sabbia e argilla e dove i vini sono caratterizzati da una spiccata nota di balsamico.
Il nome di Canneto Pavese è inseparabilmente legato al vino (e a questo vino: il Buttafuoco, nel ‘900 è prodotto solo qui) in quanto, fino a pochi anni fa, era il comune italiano con la maggior superficie vitata in rapporto alla sua area territoriale.
Proprio alla Solinga, le vigne raggiungono la loro massima estensione e hanno una base ampelografica del tutto simile al Bordeaux con in più il vantaggio che qui ci sono i pendii e l’inclinazione mentre là la terra è prevalentemente pianeggiante.
Il Buttafuoco, è un blend di uve, Croatina, Barbera su tutte e poi Ughetta di Canneto e Uva Rara (ma nel “Riva Bianca” di Picchioni questo vitigno non è presente), come nel bordolese dove mescolano insieme i due vitigni primari, Cabernet Sauvignon e Merlot e vitigni minori come il Malbec o il Petit Verdot.
Nel Buttafuoco, la Croatina è quella che marca di più perché è un’uva estremamente malleabile che permette di fare vini freschi e molto fruttati o vini con macerazioni più lunghe o estrazioni maggiori di tannini e maggiori quantità di alcol.
Ne deriva una piacevole rotondità e la tipica cadenza olfattiva fruttata vertente su profumi vegetali che sono totalmente diversi dai profumi iniziali (ammarescati).
Nella zona delle Graves, del Médoc, di Saint Émilion o di altre zone del Bordeaux, sono il Cabernet Sauvignon e il Merlot a marcare molto i vini e proprio per questo vengono “tagliati” con il Malbec e il Petit Verdot, perché sono più tipici. Là, si è costruita nei secoli una maggiore omogeneità nelle connotazioni di base proprio per fare un mercato che dall’estuario della Gironda, con le navi, spostava i vini nel mondo, creando una tipologia di vino che corrisponde molto bene al gusto internazionale che, pur strutturalmente diverso dal Buttafuoco, (perché parte dai sentori olfattivi vegetali che vanno in evoluzione nel legno) è organoletticamente simile.
Questo risultato si è raggiunto accorciando l’invecchiamento in legno e allungando l’invecchiamento in bottiglia.
I Buttafuoco di Andrea Picchioni
Andrea Picchioni, i suoi Buttafuoco referenziati come “Bricco Riva Bianca” (raffinato ed evoluto) e “Cerasa” (quello d’annata, fragrante, morbido, immediato) li fa nella zona più vocata per il Buttafuoco, in un’areale produttivo che può essere identificato come un unico cru.
Poco più di otto ettari di vigna su un versante collinare, che volge a mezzogiorno, con pendenze in alcuni tratti proibitive, in Val Solinga.
Proprio dalle vigne più scoscese raccoglie a mano quelle uve che, nella loro genetica, hanno la vocazione all’invecchiamento e danno ai vini un carattere agréable, come direbbero i Francesi ovvero piacevole con tutte le declinazioni del piacere, come preferiamo dire noi Italiani.
La storia della sua azienda inizia nel 1988 con il recupero di vigneti abbandonati sulle colline di Canneto Pavese.
Nel 1995 comincia la collaborazione con l’enologo Giuseppe Zatti da Castana, detto Beppe, (che vanta cooperazioni anche nella zona del Gattinara, del Barolo, dei Ronchi Varesini e in Toscana, a Bolgheri), la quale si rivelerà preziosa nell’elevazione della qualità dei vini.
Andrea coltiva la terra, alleva le viti e produce il suo vino nel massimo rispetto per l’ambiente.
Per irrigare le sue vigne usa solo acqua di pozzi di proprietà, concima utilizzando solo concimi organici e ridistribuendo le vinacce, sfalcia l’erba lasciandola sul terreno e non esegue lavori di movimentazione per evitare erosioni.
Una parte della superficie aziendale è mantenuta a bosco e l’Azienda Agricola Picchioni Andrea, è certificata biologicamente ma la sua non è stata una “conversione” perché l’amore e il rispetto per la terra che lui ha sono innate e non hanno bisogno di certificazioni.
Andrea ha sempre voluto dimostrare l’appartenenza alle proprie origini attraverso il vigore, l’efficacia e l’eloquenza dei suoi due Buttafuoco e lo fa con rigore enologico, la coesione e il senso di squadra con altri bravi vignaioli del territorio.
Uno di questi è Lino Maga che, prima ancora di essere un vignaiolo, è un contadino che “serve” la sua terra e che ha insegnato a gente disposta ad ascoltarlo, come Andrea, come si fa a trasformare un frutto nella bevanda più buona del mondo, rispettando il territorio che lo genera.
Proprio con Lino Maga, Andrea è stato protagonista, il 10 giugno 2015, presso l’Hotel Due Torri a Verona, di una memorabile verticale di Barbacarlo e di Buttafuoco “Bricco Riva Bianca”, organizzata dalla Fondazione Italiana Sommelier Veneto.
La “Cerasa” e il “Bricco Riva Bianca”
Andrea mi riceve nella sua cantina a Canneto Pavese, in Frazione Campo Noce.
Ha un viso gioviale che fa da contralto alla sua stazza fisica che, però, non ti mette soggezione grazie alla sua affabilità, mitezza e sensibilità.
Potresti quasi definirlo un tipo timido in quanto, in mezzo alla gente, non parla volentieri ma solo perché preferisce ascoltare.
Quando è in familiarità con amici o persone con cui è in confidenza invece diventa loquace e comunicativo e ti contagia con la sua umanità e la sua energia di contadino verace.
Porta quasi sempre una giacca di velluto sopra ad una camicia di flanella con il collo sbottonato ed è uno che si è fatto da solo, con le idee chiare già all’età di 21 anni quando, con tanta passione e curiosità, inizia la sua carriera.
Gli fanno da spalla suo papà Antonio e sua mamma Rosa e, successivamente, Silvia sua moglie, che lo sostiene in tutte le sue decisioni.
Il “Picchio” crede fermamente nel Buttafuoco, quello prodotto con uve autoctone e con una inconfondibile e precisa identità territoriale che, secondo lui, andrebbe ulteriormente rafforzata, escludendo dalla DOC la versione frizzante che tende a sminuire le qualità di questo grande vino.
La stanza in cui mi ospita è molto accogliente, seppur arredata in modo semplice e spartano: un cumò dove tiene piatti e bicchieri e un grande tavolo centrale coperto da una tovaglia di linoleum su cui ci sono parecchie bottiglie di Buttafuoco.
Iniziamo a degustare, anzi a bere, perché i vini come questo Luogo della Cerasa 2014, vanno bevuti.
Nell’annata 2014 sull’etichetta c’è ancora il nome originario, dal 2016 invece si chiama solo “Cerasa” avendo dovuto “forzatamente” rinunciare al prefisso (per la repressione frodi, “luogo” è sinonimo di vigna e, nella lingua italiana, l’unico sinonimo di vigna è “vigneto”).
L’uva per fare questo vino viene raccolta manualmente, solo quando ha raggiunto una buona maturazione polifenolica e il mosto fermenta per circa 8 giorni a contatto con le bucce.
Successivamente và in vasca per almeno sei mesi e imbottigliato.
È un vino che si presenta con un colore rosso rubino intenso con riflessi viola e un bouquet fresco, fruttato di more e floreale, di rosa appassita.
Ha un carattere molto deciso e in bocca è quasi carnoso ma morbido, con una spiccata rotondità e persistenza.
Il bicchiere che ho davanti è un caleidoscopio enologico in cui i colori e i profumi diventano un concerto che sublima la gola e il cervello.
E il cervello così stimolato alza la saracinesca ed escono immagini accompagnate da un coro di voci melodiose.
La prima che mi appare è “Imagine” e John Lennon mi assicura che “nessun inferno è sotto di noi e sopra di noi solo il cielo e non esistono più frontiere”.
Lo so che è un sogno originato dal Buttafuoco e che sono un sognatore esattamente come John ma è bello sognare con questo bicchiere in mano.
Passiamo al Bricco Riva Bianca 2011, che proviene dall’omonimo vigneto ed è passato in rovere con un affinamento che si rivela molto equilibrato nell’arricchimento di note vanigliate e tostate. Beviamo come prima annata proprio il 2011 perché questo Buttafuoco è stato recentemente premiato come “Vino dell’Eccellenza” 2016, da L’Espresso – I Vini d’Italia 2016.
È intenso e di razza potente, un purosangue con degli zoccoli tufacei che affondano nel terreno per estrarne la sapidità e la mineralità, figlie legittime del cru da cui proviene.
È sorprendente per la sua tonicità e per i richiami di piacere cui sono legati sentori di erbe selvatiche, muschio e prugna.
Una sensuale avvolgenza gustativa che porta in dote un vellutato fascino tannico che ti appaga.
Deglutisco estasiato e, mentre immagino violinisti chagalliani o kandiskiyani che volano, in una parte del mio cervello Jimi Hendrix sta attaccando “Are you experienced? ” …trombe e violini posso sentirli in lontananza, tienimi per mano Jimi, mi chiedi se ho mai sperimentato niente di simile?…
Bricco Riva Bianca 2009
E’un altro “Vino dell’Eccellenza” 2014, (L’Espresso- I Vini d’Italia 2014).
Nel bicchiere sembra ancora un giovincello per la sua eccezionale freschezza. Al naso emerge immediata la nota balsamica tipica della Solinga e, subito dopo, l’impatto olfattivo di spezie e frutti di bosco.
Nella mia mente si accende Castalia di Mark Isham e la melodia della ninfa che Apollo tramutò in fonte mi prende per mano e mi conduce nella Valle Solinga che vorrebbe dire solitaria, come nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (*), (Asia, proprio come la figlia di Andrea), che io invece ribattezzo Solenga, baciata dal sole.
(*) Giacomo Leopardi: “Pur tu solinga, eterna, peregrina…”
Bricco Riva Bianca 2004
Quella del 2004 non è stata un’annata da ricordare in Oltrepo Pavese ma, nella zona di Canneto Pavese e sulle alture di Broni,
ha dato un vino asciutto e di buona gradazione. Questo che ho nel bicchiere è accattivante, armonico, vellutato.
E nel finale è leggermente ammandorlato proprio come descritto da Soldati.
Ha un’intrigante fragranza fruttata ma anche floreale con note di violetta, che ti riconduce alle vigne da cui scaturisce che, nelle giornate uggiose, sono coperte da nuvole come una sottoveste che lascia intravedere le sinuose forme delle colline.
Mentre lo annuso penso a Violetta Valery resa celebre da Alexandre Dumas nella Dame aux camelias e che tutti i melomani del mondo conoscono come La Traviata. Una Violetta esistita veramente, il cui vero nome era Rosa (Rosa Alphonsine Plessis).
Nata nel 1824 in Normandia, fu venduta (ancora quattordicenne) dal padre a degli zingari in viaggio per Parigi dove ben presto cambiò nome e vita diventando protagonista della mondanità gaudente e spensierata della Ville Lumière.
La sua fu una vita breve (morì a 23 anni di tisi) ma intensa.
Fu anche l’amante di Dumas per un certo periodo di tempo, oltreché di una miriade di uomini di primissimo piano conquistati dalla sua bellezza e dal suo fascino. Nella mia mente si accende La Traviata di Verdi e appena Violetta, attacca “amami Alfredo”, deglutisco un altro sorso di questo stupendo “Bricco” e raccolgo senza indugi l’invito.
Bricco Riva Bianca 1995
È la prima annata di questo vino.
Ce ne sono in giro poche bottiglie ed io ho la fortuna di poterne assaggiare una.
È già stata aperta da Andrea da oltre un’ ora e adesso è pronta a presentarsi.
Il colore è scuro ma di una lucentezza straordinaria.
Denota subito una grande complessità di note fruttate che volgono al rustico, al selvatico, alla terra, al chiodo di garofano, al pepe e al pimento piccante.
È un vino che sa di vino, come direbbe Lino Maga e a cui ogni ulteriore descrizione risulterebbe superflua.
Il pensiero va al poemetto in cui Francesco Redi fa dire a Bacco: “Bella Arianna, con bianca mano versa la manna di Montepulciano, colmane il tonfano e porgilo a me”.
Questa manna che ho nel mio tonfano è migliore del miglior Montepulciano che abbia mai bevuto.
Anzi che avevo, giacché è già vuoto dopo appena qualche sorso, perché la persistenza in bocca è inversamente proporzionale alla persistenza in esso di questo immenso Butafeug.
Mi guardo intorno a cercare Arianna e la sua bianca mano ma, ahimè, non son fortunato come Bacco.
Allora mi accendo in testa Nevermind dei Nirvana (perché Arianna è sicuramente lì con il “Bricco” nel tonfano) e quando Kurt Cobain attacca “Smells Like Teen Spirit”, mi lascio avvolgere dalle vertigini parossistiche che scatena e non c’è miglior viatico per brindare ad un vero vignaiolo come Andrea, al suo “focoso” vino e alla grande terra che lo ha generato.
Prodotti come questi dovrebbero avere un posto stabile nelle carte dei vini della stragrande maggioranza dei posti di ristorazione dell’Oltrepo Pavese e del Pavese ma, purtroppo, non è così e, paradossalmente, sono più conosciuti ed apprezzati fuori dal loro territorio d’origine.
La scarsa attenzione alle proprie tipicità è un retaggio che parte da lontano.
Penso a Pavia, che è stata capitale del Regno Italico per più di 400 anni (dal 500 sino al 1024), che custodiamo in San Pietro in Ciel D’oro le spoglie di Sant’Agostino, padre della Chiesa, che abbiamo una basilica (San Michele) che è stata un tempo cappella palatina e scenario di incoronazioni imperiali (tra cui quella di Federico Barbarossa) e non facciamo nulla per promuovere un così cospicuo patrimonio culturale.
Azienda Agricola Picchioni Andrea
Frazione Campo Noce, 4 Canneto Pavese (PV)