“Alessandro il grande”

 

 

Alessandro Fedrizzi in vigna

 

Se arrivi a Vignola tra marzo e aprile, lo spettacolo dei ciliegi in fiore quasi ti stordisce con la sua bellezza e i suoi profumi.
I Colli Bolognesi sono così, non finiscono mai di stupire in tutti i periodi dell’anno e in qualunque angolo di essi, compreso il tratto che da Vignola porta al Castello di Serravalle.
Una strada che s’inerpica fiancheggiando le case torri e ti conduce sempre più in alto, finchè  i calanchi, nell’area compresa tra Castelletto, Bersagliera, Maiola e Tiola ti annunciano
il Castello di Serravalle  che, nell’anno 772, diede asilo a Carlo Magno, nel suo  viaggio verso Roma.
Il maniero rimase un feudo di Matilde di Canossa fino al 1109, poi aspramente conteso tra la ghibellina Modena e la guelfa Bologna.
La disputa culminò nella battaglia di Zappolino, coi Bolognesi sconfitti  e fu narrata  dal poeta modenese Alessandro Tassoni ne La secchia rapita.

Il castello di Serravalle

 

Qui il paesaggio è la natura che si è lasciata trasformare dalla mano dell’uomo in modo virtuoso e che ha preso forma negli anni grazie al lavoro e alla fatica di generazioni di contadini in gran parte dediti all’allevamento della vite.
Ed è proprio la vite a farla da padrona: intorno al castello un palcoscenico di vigneti adagiati sulle marne argilloso-arenacee, ad un’altezza di circa 250 mt. sul livello del mare, si distende a perdita d’occhio.

     Le vigne intorno al castello di Serravalle

Numerose sono le aziende vitivinicole che  vi conducono la loro attività: i Due Aironi Società Agricola S.S, la Marmocchia Società Agricola, Masini Lorenzo Società Agricola, l’Azienda Agricola Fondo Marzola, l’Azienda Agricola Tosi, la Società Agricola La Riva di Alberto Zini e molte altre di medie o piccole   dimensioni.
Tra queste c’è quella di Alessandro Fedrizzi, classe 1993 (nato il 14 novembre, a Bologna) nominato da Slow Wine, nel 2019, miglior giovane vignaiolo d’Italia.
Il paese dove Alessandro cresce, si chiama Zola Predosa, uno dei paesi simbolo del comprensorio dei Colli Bolognesi per la produzione di Pignoletto.
Lì frequenta le scuole elementari e medie, poi l’Istituto Agrario a Bologna e infine s’iscrive all’Università di Agraria, sempre a Bologna ma la strada che ha in animo di percorrere non passerà attraverso i libri.
Suo padre è un trentino doc, della Val di Non, la nonna viene dalla Val di Cembra, dove i padri, ancora oggi lasciano in eredità ai figli l’alambicco per fare la grappa.
Il bisnonno, soldato nelle file austriache (perché sotto il dominio austroungarico), alla fine della guerra si fabbrica un alambicco con un tegame di una cucina da campo che seppellisce nel bosco durante la ritirata, nel 1918. Per lui viene prima l’amore per la grappa che l’assillo di portare a casa la pelle.
Cotanta progenie non può che avere un cero tipo di sbocco, e questo comincia a manifestarsi negli anni della scuola: “Nell’ultima settimana di scuola si fa poco e nel pomeriggio ne approfitto per andare in campagna con mio padre. Imparo a potare, a legare, a scacchiare. Mi piace quel lavoro e non mi stanco mai. In mezzo alle viti parliamo di vino, di botti, di un’avventura capace di realizzare un sogno: il mio. Lui è premuroso affettuoso, mi mette in guardia circa le difficoltà ma non mi dissuade. Anzi. Gli voglio bene. Vorrei dirglielo ma entrambi non siamo atti a smancerie. ‘Vuoi fare il contadino?’ –mi dice ‘È una vita lenta, ripetitiva, fatta di cicli e tradizioni’. Io non rispondo: chi tace acconsente. Alla fine della scuola vado con lui in vigna per tutto il mese di giugno e luglio e poi vendemmia. Tutto lavoro manuale che mi appaga”.
A 16 anni, Alessandro fa già il suo vino.
Comincia a cimentarsi con le prime prove a13 anni con uve che si procura il suo vicino di casa per farsi il vino di famiglia.
Per tradizione, i contadini portano l’uva direttamente nelle case di chi si vuol fare il vino da sé o addirittura anche i mosti, trasportati con botti allungate da 9 ql. dette  Castellate o da 4,5 ql. (la Mezza).
Alessandro vede tutto questo movimento di uve e vuole provare anche lui.
Si porta a casa un tino da 100 lt. e qualche cassettina d’uva a bacca bianca, del suo vicino: “Non ho mai saputo se fosse Pignoletto, Albana o Trebbiano”.
Comincia ad imparare che se lo vuoi dolce devi mettere tanta Albana,   più Trebbiano per farlo frizzante, più Grechetto Gentile se lo vuoi secco.
Comincia anche a capire che i vini sono come le persone: scorbutici, scontrosi, chiusi, o comunicativi, espansivi ed estroversi.
Quel primo vino invece è timido, anzi gracile: “Quando lo versi è bianco poi man mano diventa scuro e alla fine il bicchiere è nero perché a contatto con l’aria si ossida completamente. È tutto il contrario dei vini convenzionali che devono essere stabili, puliti, belli. Ma è lavorato in un modo del tutto naturale e naturalmente ha i difetti del vino genuino. O sono pregi? Forse sono sulla strada giusta”.
Non si perde d’animo e l’anno successivo lavora una massa un po’ più grande, tale da riempire per intero il tino da cento litri.
Il risultato è più che soddisfacente, tant’è che decide di prendere in affitto un vigneto in Zola Predosa: un ettaro e mezzo di Chardonnay.
Ha 17 anni quando ne  vinifica 10 ettolitri, che  vende un po’ in damigiane e un po’ in bottiglia e ne ha appena compiuti 18 quando comincia a cimentarsi con il metodo classico da uve Chardonnay: “Abbiamo raccolto le uve il 4 di agosto. Ho ancora un pò di quelle bottiglie: oggi fanno 8 anni sui lieviti. Le abbiamo portate nella cantina della nostra casa in montagna così stanno al fresco a temperatura costante”.
Come per ogni inizio è tutto un recitare senza copione.
In cantina è un continuo correr dietro ad una stabilità infattibile, un  aggiustare il tiro nella gestione delle fermentazioni, uno spaccarsi la testa coi lieviti selezionati, gli enzimi ecc. .
Ed anche in vigna a volte c’è da improvvisare, salvaguardando però sempre la terra: “Da quando ho cominciato a lavorare in vigna non ho mai utilizzato diserbanti. Mi hanno insegnato che prima di tutto c’è il rispetto della terra. E se la rispetti, lei ti ricompensa: le mie vigne sono parte di un ambiente naturale in cui erbe, insetti e animali sono elementi costitutivi necessari”.
Nel 2014 la svolta. Subentra nella gestione di una piccola cantina a Zola Predosa che chiude l’attività e vinifica lì fino al 2017, quando si trasferisce nell’attuale cantina sulle alture del Castello di Serravalle, che la famiglia Beghelli, conduce in modo egregio per tanti anni, finchè viene a mancare un adeguato ricambio generazionale.
La nuova azienda possiede 4,5 ettari di vigneti intorno al castello, che arrivano fino a Mercatello.
Alessandro non ha ancora compiuto 27 anni e l’azienda che ha messo in piedi, in tutto conduce 14 ettari, tra quelli in affitto e di proprietà.

Attualmente si avvale della collaborazione di Francesco marchi agronomo ed enologo (consulente anche  in numerose altre cantine dell’Emilia Romagna) e produce  circa 30.000 bottiglie in 6 etichette: Colli Bolognesi Pignoletto DOCG frizzante Rifermentato in Bottiglia, Colli Bolognesi Pignoletto DOCG Frizzante, Pignoletto DOC, Metodo Classico Extra Brut, Colli Bolognesi Barbera DOC, Colli Bolognesi Barbera DOC Rifermentato in Bottiglia.

Sono tutti vini di spiccata personalità che meriterebbero di stare nelle carte di grandi ristoranti ed in particolare i tre che seguono:

                                                           Colli Bolognesi Pignoletto DOCG frizzante Rifermentato in Bottiglia

Uve 100% Grechetto Gentile. “Porto il mosto a secco e poi lo faccio rifermentare con zucchero d’uva cristallizzato Naturalia di Maccaferri”. La rifermentazione dura in media 12 mesi.

 

 

 

 

                                                                            Colli Bolognesi Pignoletto DOCG Frizzante

Uve 100% Grechetto Gentile. Prima veniva prodotto in autoclave, adesso viene rifermentato in bottiglia 3 mesi .“Tengo  da parte un pò di residuo zuccherino,  che poi uso per far partire la  rifermentazione”.

 

 

 

 

                                                                                      Metodo Classico Extra Brut

 

 

Da uve Chardonnay provenienti da vigne medio-vecchie di Zola Predosa.
Uno spumante ruvido, fresco, scalpitante, quasi irruento, con un buon finale di pesca (San Giovanni in Persiceto è a pochi chilometri di distanza in linea d’aria) e di una sapidità spiccata.  Le radici delle viti si vanno a prendere i minerali in profondità, laddove un tempo, nel Pliocene c’era un golfo marino.

 

Nella piccola striscia di terra che guarda verso l’antico maniero medievale di Serravalle,   Alessandro ha gettato le basi per una vera rivoluzione culturale: il ritorno dei giovani alla terra.
Là dove milioni di anni fa c’era il mare, c’è un mare di speranza: che tanti altri giovani seguano l’esempio di Alessandro e come lui contribuiscano a rendere il mondo più bello e più buono.

Azienda Agricola Fedrizzi Alessandro
via Castello, 2257, 40050 Castello di Serravalle (BO)