Barbacarlo: una verticale storica irripetibile
Broni,via Mazzini 50 (Tempio del Barbacarlo) – domenica 3 novembre, ore 14,00. Siamo in un’enclave ammantata da un’atmosfera crepuscolare. Qui sembra che il tempo abbia smesso di correre, con bottiglie ovunque, sugli scaffali, sul pavimento, sul tavolo, sul ripiano del camino.
Bottiglie di Montebuono, Ronchetto e Barbacarlo di tutte le annate, ma anche molte altre etichette che dichiarano un amore per il vino senza rivalità, soggezione o complesso d’inferiorità.
Un vero e proprio santuario pagano del Barbacarlo, tappezzato di libri, cimeli, fotografie, ritratti di personaggi importanti (Gianni Brera, Luigi Veronelli e tanti altri), ritagli di giornale, quadri, strani elettrodomestici, mazzi di carte da gioco, frasi scritte su fogli di cartone, insegne, tralci di viti secolari, attestati e riconoscimenti che ti ammaliano, facendo partecipe, chiunque entri, di un fenomeno che nel tempo ha lasciato molte tracce di sé. Il tutto disposto in modo casuale, fortuito e solo apparentemente disordinato.
Sul grande tavolo di degustazione ci sono allineate 32 bottiglie di Barbacarlo di altrettante grandi annate, dal 2018 (ultima annata andata in bottiglia) al 1958 (prima annata imbottigliata) che aspettano di essere aperte e degustate da 4 fortunati eletti che la sorte ha trasformato in protagonisti di un evento che resterà negli annali della storia del vino: Massimo Zanichelli (giornalista), Stefano Cresta (gourmet, collaboratore di Massimo), Giuseppe Zatti, detto Beppe (enologo dinamico e biodinamico) e chi scrive, che ha avuto la fortuna di raccogliere la testimonianza di lino Maga e metterla in un libro sulla storia del Barbacarlo (che è poi la storia di Lino Maga).
Lino Maga e suo figlio Giuseppe sono seduti vicino al grande camino acceso in cui ardono ceppi di robinia e guardano quasi divertiti i quattro predestinati ammutoliti in un silenzio pressoché religioso, che sono consapevoli della straordinarietà della prova che li attende ma non sanno ancora che stanno per vivere un momento di intenso misticismo.
I Maga, figlio e padre, hanno accettato di mettere a disposizione del gran sacerdote Massimo Zanichelli e dei suoi seguaci, la storia della loro cantina, per una verticale irripetibile (perché di certe annate saranno aperte le ultime bottiglie ancora disponibili) e vederli seduti in disparte, uno vicino all’altro, mentre i prescelti si dispongono ad affrontare il sacrificio, è quasi commovente.
Alle ore 14 circa, Massimo da il via alla liturgia, cominciando a mescere i vini nei calici:
2018-Capolavoro! Frutto turgido, fitto. Durerà 30 o 40 anni ma non sarà certo il problema dei fortunati che hanno in mano queste bottiglie perché non aspetteranno così tanto per bersele. “Dopo aver bevuto questo vino il vescovo di Tortona, in visita presso la nostra cantina ha dichiarato che il Barbacarlo è un vino mistico, più ancora che naturale, soprannaturale” (Lino Maga).
2017-Carbonica molto decisa, affascinante, unica! Come le spume delle acque del Po che attraversa questo territorio col suo corso zizagante tal quale il passo di un ubriaco. “Abbiamo dovuto tappare le bottiglie con turaccioli del 28 perché quelli del 30 (che utilizziamo regolarmente) non erano disponibili. Molte bottiglie hanno sparato il tappo” (Lino Maga).
2016-Estrazione morbidosa e fruttosa. Un vino di carattere, lento a svelarsi, che sembra quasi celare il suo spirito ma, pian piano, mostra la sua personalità. Fresco, avvolgente, complice, di una soavità matura, profonda, vivace.
Vino centrato: “Gianni Brera, grande fumatore (ed estimatore del Barbacarlo) diceva che un vino è centrato quando pulisce la bocca al fumatore” (Lino Maga).
2015-Purezza del frutto, del selvatico, di tutto ciò che è Barbacarlo! Erbe, radici, salamoia.
Il palato, irrorato dalla ragguardevole persistenza gustativa, si distende all’infinito (E in questa immensità s’annega il pensier mio…). “Il Barbacarlo è pensiero perché è sincero. Ogni anno ha la sua storia” (Lino Maga).
2014-Annata fredda e piovosa. Lino Maga la definisce “scarsa” ma vengono fuori come per miracolo il pepe, l’alloro (da laureato), la macchia mediterranea, la natura selvatica…
Complesso e rotondo. È un giocatore che gioca per la squadra, completo dal naso alla bocca, senza eccessi ma lineare nella sua grande struttura.
2013-“Asciuga la bocca” (Lino Maga). In effetti è asciutto, scalpitante, sontuoso. Radice di genziana, lampone, rabarbaro. Vino complesso, con un suo ventaglio di gamme sensoriali atte a stimolare letteralmente in tutti i “sensi”, con eleganza e sorprendenza, dove la prendenza è la caratteristica più forte. “Il consumatore è il termometro, il giudizio è della gente che spesso si dice non se ne intenda. Invece se ne intende e come, tant’è che questa annata l’han bruciata. Non ci sono più bottiglie” (Lino Maga).
2011-Annata calda e di grado elevato (14,5). “Quando c’è il grado è perché c’è stato il sole” (Lino Maga). Morbido e salato al contempo. Leggermente pétillant. Finale lungo e cremoso. C’è dentro l’idea, il sapore della terra, delle pietre dov’è nato. Un vino roccioso, petroso che sa di ardesia e con un grande carattere.
2010-“Annata bella. Ne è venuto un vino amaro e asciutto” (Lino Maga). Note pietrose, minerali. Più che Pioggia nel Pineto, nubifragio. Frutti di bosco molto profumati e insieme molto acidi. Cardamomo con finale d’amarena salata.
2009-Note di tannino bello secco e asciutto. Acidità quasi di un vino bianco. È un vino sontuoso, ricco, elegante! I profumi di frutta secca, fiori, acacia, nespola, cedro, cardamomo sgomitano per arrivare per primi in bocca a deliziarti a lungo, “sapidamente” e con un finale leggermente amarognolo. Il vino fa sangue e questo fa un sangue prodigioso!
2007-Tensione al naso clamorosa. ”E’ stata un’annata calda. E’ venuta la pioggia al 31 agosto ed è stata una manna. Mi viene in mente il contadino che, arrivato a Milano, gli fan vedere una grande opera d’arte: il Duomo. E lui, pur incantato da quella bellezza, dice che è meglio piuttosto un’acqua il mese d’agosto” (Lino Maga). Acidità olfattiva, nerbo acido. E’ un vino di 15,5 gradi ma sembra che ne abbia 12. In bocca è una coccola. Frutto morbido (mela cotogna) con una scia minerale, sapida nel finale. Qualsiasi altro vino sarebbe morto con 2,76 grammi litro di zuccheri.
2006-Grado zuccherino tendente al dolce. Genziana, erbe medicinali, gamma cospicua di spezie. Piccante, polposo, generoso e con un bel tannino. “All’inizio sembrava un vino normale, poi si è evoluto. Non volevamo imbottigliarlo. Alla fine gli abbiamo messo le etichette del 2003 correggendole a mano” (Giuseppe Maga).
2004-Buona annata, calda: “Le botti cantano e si mangiano gli zuccheri” (Giuseppe Maga.)
Vino asciutto e di grado elevato. Grintoso anche se non esuberante. Acidità: Bum! Nuances di gratacù (rosa canina). Buono con gratòn (ciccioli del maiale). “Il maiale ha sempre accompagnato bene il vino: Giacomo Bologna, tagliava fettine di lardo col rosmarino e ci beveva su il suo Uccellone” (Lino Maga).
2003-Zuccheri 2,10 e 16,4% compl.
Straordinario, stupefacente, abalorditivo, strabilinate, prodigioso, immenso, fantastico, strepitoso, affascinante e chi più ne ha più ne metta. E’ un’annata importante perché segna un gesto di anarchia: l’uscita del Barbacarlo dalla DOC.
“Nel 2003 non è mai venuta una pioggia. E’ come uno che non si lava mai…ma il vino lo fa la terra e il sudore dell’uomo in vigna! Il Barbacarlo del 2003 è figlio di un’annata torrida e come sempre è nato nel pieno rispetto della naturalità di tutti processi produttivi, dalla vigna alla cantina. Doveva restare come la natura me l’aveva dato senza manipolamenti o aggiustamenti. E così è restato. Però me lo son visto bocciare dal Consorzio, come quello del ’98, perché superava i 12 grammi/litro di zucchero… la solita menata! La commissione di degustazione della Denominazione d’Origine Oltrepo Pavese si limitò a registrare che il residuo zuccherino era troppo alto senza tener conto di tutto il resto. Allora sono uscito dalla DOC. Il vino di qualità non sta nel disciplinare” (Lino Maga).
“Già in botte si sentiva che aveva carattere, che era gagliardo, forzuto, vigoroso. Siccome l’annata era esplosiva ho preso delle bottiglie più robuste per evitare che esplodessero. Il 2003 è stato anche l’anno in cui la bottiglia è cominciata ad uscire col cartiglio su cui è riportato il protocollo genetico che il consumatore deve conoscere” (Giuseppe Maga).
2001-Sentore di tappo.
2000-Carbonica lussuosa. Una carbonica dirompente che quando si muove spacca. Sulfureo, idrocarburi, lievi umori di riduzione. Il vino dell’Oltrepo Pavese invecchia bene in bottiglia. Olive,datteri, fichi, uvetta con un finale sapido come lo spruzzo dell’onda su uno scoglio di Punta Chiappa.
1998-Leggera ossidoriduzione. Dolce. Peperoncino, carciofo, sale, uva matura. “Il ’98 è stata un’annata eccezionale ma la Commissione per la Denominazione lo bocciò perché superava i 12 grammi/litro di zucchero e non era conforme al disciplinare, che era un disciplinare di basso livello per poterceli far stare dentro tutti. Telefonai al Seminario Permanente Veronelli e all’apparecchio c’era Gian Luigi Brozzoni, che aveva preso il posto di Francesco Arrigoni alla guida del Seminario. Gli dissi che mi avevano bocciato il ’98 perché è troppo dolce e lui mi rispose senza tanti giri di parole «Tu sei un testone. Sembra che te le cerchi. Fai il vino come 40 anni fa». Gli ribattei: ‘No! No! Se è per quello il vino lo faccio come 2000 anni fa’ ” (Lino Maga).
1996-Bergamotto, agrume. Sul cartiglio legato al collo della bottiglia c’è il valore di SO2 (28,7). Nessuno nel ’96 sapeva cosa fosse l’SO2. E’ un po’ come lo spred, ma Lino Maga la indicava già.
Pazzesco il PH: 3,24. Zuccheri riduttori: 1,31. Vino molto tannico. Se te lo mettono in un bicchiere alla cieca non diresti mai che è un ’96 (al massimo un 2010). Verticale! Lunghissimo. Note selvatiche di porcino, tartufo o spinose di agrifoglio, in continua evoluzione nel bicchiere.
1995-Fa tremare il polso una volta giunto al naso e potrebbe essere sufficiente questo ma bisogna aggiungere che non ha niente da invidiare ad un grande Nebbiolo. L’uva e il succo dell’uva sono le sue prerogative: “Finalmente qualcuno che dice che sa d’uva” (Lino Maga).
1991-Caramella gommosa. Nocciolato. Di grande dolcezza e alcol basso .“Ero all’Auditorium di Milano con Veronelli per una serata di beneficenza. C’era ospite Maria Teresa Ruta che dopo aver assaggiato il ’91 continuava a ripetere ‘Voglio il Barbacarlo ‘91’ “(Lino Maga).
1990-Leggermente avanti nell’evoluzione, non ha perso la sua selvatichezza. Il naso ancora accalappiato da note minerali che si fondano ad aromi di fiori di campo e frutti polposi, diventa velluto pregiato. In bocca spiccano le note varietali e selvatiche tipiche di una vigna aspra, difficile, schietta, unica.
1989-Strepitoso, cioccolatoso, bello succoso. Gudroneggia con una freschezza che non ti aspetti. Selvatico di selve, praterie, boschi e sottoboschi. Bacca mediterranea, rosmarino e grande tannino.
1986–“L’86, è stato l’anno dello scandalo del vino al metanolo. Abbiamo avuto un’annata media” (Lino Maga), e si sente. Soffre un po’, non c’è la parte aromatica varietale. Non c’è carbonica né tannino ma è sempre caparbio e impegnativo come un Barbacarlo.
1985-Impegnativo e nello stesso tempo facile, maturità e adolescenza, sconcertante e rassicurante. Una serie di paradossi che ti disorientano. La sua mutevolezza conferma un nerbo con ancora una lunga strada.
1983-Dolcezza infinita. Di grande fragranza e finezza con sentori minerali che il naso assorbe e coccola a lungo. Di una durevolezza stupenda. Così irrorato, il palato manda inequivocabili messaggi a tutto il resto del corpo, compresa la mente che a volte non ha bisogno dell’atto biologico per sciogliersi in rigagnoli di piacere.
È al massimo dell’opulenza con una complessità culminante in una specie di viaggio sensoriale dentro un alveare con le sue fragranze di miele e cera d’api.
1982-Poetico, dolce e nobile nelle note ossidative. Si spoglia dei panni della tecnica per vestire quelli dell’emozione, mostrandoci la sua anima sensibile che si rivela subito, dietro la crosta grinzosa e scabra. Il cuore è gonfio di violini e, tutti insieme, intonano nel “Blu dipinto di blu”, che Volare non è mai stato così facile!
1975-Gli Abba direbbero “Mamma mia!”. Vino intrigante e senza cedimenti. Grande Sangiovese nella polpa dell’Oltrepo Pavese. Siamo alla fine del mondo. La lunghezza, la freschezza…infinite! Sottobosco, menta, foglia d’alloro, resine. Balsamico, fragrante, genzianoso e ancora una volta fresco. Capolavoro di Provenza, Francia del Sud.
1973-“E’ stata un’annata molto difficile. A vendemmia pronta, continuava a piovere, è piovuto per 10 giorni di fila e gli acini erano provati dalla gran acqua. L’acino crepava. Ciononostante è stata un’annata che si è svelata nel tempo. Ho dovuto fare più travasi, perché io faccio il vino per decantazione. Me lo sono dimenticato lì. Dopo 15/20 anni l’ho assaggiato e non era male: i Giapponesi me l’hanno preso tutto” (Lino Maga).
Peperone messicano, peperone arrostito. Affumicatura alla brace! E’ commovente vedere un vino di un’annata debole che scalpita e si esprime in modo così esuberante.
1972-Sentore di tappo
1970-Lino Maga dice che è “medio”. Invece è un mito che ha le proprie radici nella terra. E’ tutto d’un pezzo: fresco, fragrante, sapido, salato (Sulle labbra dolcissime lascia un profumo di salsedine). Con grande nonchalance ti dimostra che le grandi B del vino italiano sono Brunello, Barolo e Barbacarlo e non sempre in quest’ordine. Timo spaziale che si allunga in continuazione. E’ penetrante, complesso, sfumato in una graduale attenuazione dei toni che subito crescono d’intensità marcando il suo carattere. “Il 1970 è stato l’anno della svolta. Ho usato la DOC. Ho dovuto fare un’etichetta in base alla legge che imponeva che il nome Barbacarlo fosse riportato in caratteri più piccoli rispetto a Oltrepo Pavese” (Lino Maga).
DA QUESTO MOMENTO IN AVANTI E’ NECESSARIO SEDIMENTARE LE EMOZIONI PER ACCOSTARSI
AD AFFRONATARE COL DOVUTO RACCOGLIMENTO LE PROSSIME BOTTIGLIE
1969-Ancora petillant, ha un tannino strepitoso, omogeneo, levigato, che allappa le gengive. Senti l’odore dei tralci delle viti, del terreno fertile in cui affondano le radici, quasi dell’aria pulita che respirano su quel crinale in cui ci puoi arrivare solo a piedi.
1961-Sull’etichetta c’è scritto Vino Barbacarlo Antico Classico. E’ un miracolo della natura oltreché della capacità e maestria dell’uomo. Radici, frutto pieno che si allunga in un tannino avvolgente. E china! Quasi un Barbacarlo chinato! I Barolo del ’61 ansimano: questo Barbacarlo è quintessenza, principio incorruttibile, energia cosmologica, quinto elemento dopo terra, aria, acqua, fuoco. Sostanza, possenza, fragranza, tensione gustativa, fisicità ancora prorompente dopo quasi 60 anni. “Le cose genuine invecchiano, le cose composte no!” (Lino Maga).
1958-Nel bicchiere schiumeggia. La gola si scompiglia perché è gelosa della bocca che per prima assapora quella passione liquida. Purezza, luminosità, immacolatezza, tonicità, ariosità con un finale di pepe e sale “Se lo rispetti il vigneto racconta la sua storia ed esprime il luogo. Il sale della terra dice il Vangelo” (Lino Maga).
“Prima guardavo le viti vecchie rimaste, che con i miei avi ho sempre curato, e gioivo perché abbiamo vissuto insieme, dopo averle viste nascere e crescere sulle nostre terre delle colline di Broni. Adesso guardo tanti vigneti trascurati e mi dolgo.
Quando sono nel vigneto mi sembra di aver tutto quello che mi serve.
Veronelli diceva: ‘La vite è il canto della terra verso il cielo’.
Anche se la terra è povera, ti dà da mangiare. Torniamo alla terra, godiamoci i suoi frutti.
Mi auguro che ci sia un ritorno alla terra, perché tutto viene dalla terra.
La vita è una corsa a ostacoli che ci impegna a resistere e se non ti fermi prima arrivi al traguardo.
Purtroppo la vita si esprime quando fugge.
Rimarrà la terra e chi di lei ne farà tesoro.
La terra è la madre di tutti noi e ha bisogno di rispetto se si vuole che ritornino gli uccelli, le rane, i rospi, i ramarri, le rondini…” (Lino Maga).
Nonostante le prove che gli ha posto davanti la vita, Lino è rimasto un puro e lo stiamo a sentire in silenzio, fino alla fine, commossi, dalle sue parole tormentate, dall’amore per il suo lavoro, dal rispetto per la terra, dal suo coraggio, sapienza, purezza, incanto, altrettanto quanto incantevoli sono i suoi vini e alziamo dentro di noi i calici in un intimo (mistico, direbbe lui) brindisi alla sua umanità, alle passioni appena vissute, alla vita e al vino che in certi casi è storia e memoria, scienza e coscienza. E unisce le persone.