Il birraio del birrificio Montegioco
Riccardo Franzosi

 

Riccardo Franzosi, del birrificio Montegioco di Montegioco (Al),  è stato uno dei primi in Piemonte, terra di grandi vini, a spiccare il volo enologico con la sua Tibir, fatta con il mosto di Timorasso, birra molto interessante apprezzata dai palati più raffinati e curiosi.
Riccardo è un birraio nel senso più ampio del termine, eletto Birraio dell’Anno nel 2012 dal network Fermento Birra.

Il premio è una sorta di “Pallone d’oro” della birra assegnato da 50 esperti che valutano il lavoro complessivo del birraio e non solo la qualità di una singola birra.
Riccardo vive in una valle in cui i prodotti della natura, come salumi (Nobile del Giarolo), formaggi (Montebore di Mongiardino), pani e focacce, si fanno ancora come una volta finendo per dare una loro impronta anche alle birre che lui produce.

 

 

È fortemente radicato nel suo territorio, da cui trae una gran parte degli ingredienti che poi si ritrovano nei suoi capolavori come la Mummia, famosa in tutto il mondo, che fermenta spontaneamente grazie ai lieviti presenti nell’aria della cantina dove asciugano anche salami, coppe e pancette.
È un tipo che, nonostante il successo ottenuto con il suo lavoro, non smette mai di sminuirne la portata riconducendo tutta la sua filosofia produttiva al metodo cadrega, (sedia in gergo dialettale) col quale vorrebbe far intendere che si mette a sedere aspettando finché i suoi frutti siano maturi.
È vero che ai fenomeni della natura concede il tempo indispensabile, perché bisogna lasciare che facciano il loro corso senza forzature (“sennò le cose vengono male“) ma prima c’è tutto un lavoro di preparazione e di controlli proprio per consentirle di portare a maturazione i frutti, come lui li ha pensati.
La sua formazione scolastica, che è culminata in un diploma di perito agrario, è alla base di un cammino che lo porterà ad accrescere la sua cultura in piena autonomia.

Riccardo Franzoni (sulla cadrega) e il suo staff
                            
 
Le birre di Riccardo

Oggi, le birre prodotte a Montegioco, sono più di una cinquantina di tipi diversi, che vanno dai 4,5 ai 12,5 gradi. Una produzione di livello internazionale e una gamma ampia che attesta l’estrosità e la capacità di Riccardo, oltreché il suo attaccamento ai prodotti del territorio.
Al momento in cui scrivo, sono quelle sotto riportate ma non è detto che, mentre compilo l’elenco, non ne venga alla luce un’altra:

X-Mummia, La Mummia, T-Mummia, La Mummia Faro, La Mummia Rifermentata, Mac Mummia, Moscato d’Amburgo, Draco, Draco Cadrega, Dolii Raptor, Zorzona, Ciapalì, Runa Moro Nera (Ninja), Quarta Runa,Mac Runa,Runa Bianca, Demon Hunter, Bran, Dunkelrat, NèpiùNèmeno, Carsent, TiBir, Garbagnina, Garbagnina Barriquè, Open Mind, Rex Grue, Rex Grue (Metodo cadrega), Rex Grue Zymatore, Rat Fener, Tentatripel, Ratweizen, Missour, RurAle, RurAle Barriquè, Seclè, Makke Stout, Bran Menta, Bastarnà, Bran Reserva(Barrique Cuvée), Dolii Raptor (Calvados), Dolii Raptor Raptorbach, Fumigant, Mezzasegale, Magiuster, Off License Imperial Porter, Moroninia.

La “Sorbirrazione”

Per assaggiarne qualcuna son venuto a Montegioco col mio amico Angelo, detto Lalo, uno che se ne intende  di birre.
Riccardo ci riceve a casa sua ma, prima di sederci al tavolo di degustazione, passiamo insieme dalla sua cantina dove tiene (accanto alle barrique della Mummia) una compilation di salami, coppe e pancette che, solo a sentirne il profumo, la salivazione aumenta e le terminazioni nervose della lingua, cospicuamente stimolate, inviano inequivocabili segnali al cervello.
Sono appesi in una specie di grotta, uno vicino all’altro, di grandezza e lunghezza diverse e sembrano tante stalattiti con la punta arrotondata.
Nella grotta c’è anche una mensola su cui stagionano diverse forme di Montebore.
Riccardo stacca un bel salame, riflette un istante poi guarda verso il Lalo e si convince che bisogna staccarne un altro.
Prima di uscire va verso il ripiano dei formaggi e opta per un Montebore di 8 mesi di stagionatura.
Ogni forma di Montebore riporta la data in cui è stata prodotta, così il consumatore sceglie quanto tempo vuole aspettare prima di accingersi a sottoporre la propria bocca, la propria gola e finanche il proprio cervello ad una emozione tra le più sublimi.
Più lo lasci stagionare e più diventa buono, più gli dai tempo per evolversi e maggiori sono le possibilità di trovarci dentro l’anima rosa (un po’ come trovare la perla in un’ostrica) che contraddistingue le forme che hanno raggiunto la perfetta armonia.

 

Riccardo e il suo staff in una pausa di riflessione

 

 

La prima birra che assaggiamo è la Runa
Una birra sensuale, briosa, leggera e spumeggiante, dedicata alla mitologia nordica ma dai nostri bicchieri doratamente schiumosi non si affacciano guerrieri teutonici né misteriosi maghi; piuttosto immaginiamo delle giunoniche fraülein.   
Intanto Riccardo procede ad affettare altro salame con un esemplare taglio longitudinale “a becco di flauto”, per ottenere una fetta bella larga e spessa, finché il tagliere è colmo.
Poi si appresta a stappare la seconda birra, una RurAle.
Il Villano raffigurato in etichetta davanti a vanga e maialino è PiGi esuberante proprio come questa birra.

La birra che Riccardo ha in mente di stappare ora è entrata in botte nel 2012 e c’è rimasta per 4 anni.
È un prodotto di elevata eleganza e raffinatezza che merita un accostamento di altrettanta classe.
Il Montebore sente che sta per essere sacrificato sull’altare del nostro piacere e non appena la lama del coltello si insinua nella sua forma, rilascia una specie di belato che riecheggia quello delle pecore dal cui latte crudo, intero (mescolato a quello delle mucche brune della Cooperativa Vallenostra), nasce questa meraviglia.
E prima ancora che ti arrivi al naso la complessità degli aromi di vinaccia, fieno, cenere, erbe aromatiche, tartufo, fungo porcino, zafferano, della sua pasta nobile, ad inebriarti è il timo, la mentuccia, il radicchio, l’erica, il cardo, l’acetosella e tutte le altre erbe spontanee dei pascoli della Val Borbera in cui vivono in piena libertà gli animali da mungere.
Riccardo ne depone una generosa fetta nel mio piatto e un’altra, più cospicua, in quello del Lalo.
In entrambe le fette la vena rosa è perfettamente riconoscibile e siamo consapevoli di essere in procinto di sottoporci ad una sublime emozione.
Non sto a descriverne la bontà, da una parte perché non riuscirei ad essere sufficientemente esaustivo e, dall’altra, perché mi piacerebbe che la curiosità riuscisse a spingere qualcuno di coloro che ancora non la conoscono, ad assaggiare al più presto questa chicca riconosciuta anche come presidio Slow Food.

Mentre le mie papille gustative e quelle del Lalo sono letteralmente impregnate di nobili sostanze casearie, Riccardo versa nei bicchieri la T-Mummia:
si potrebbe tranquillamente definire una birra acida ma una simile descrizione si manifesta subito quantomeno riduttiva in quanto la freschezza, i profumi, la morbidezza e la facilità di beva, sono portate all’ennesima potenza, tanto da renderla una birra unica nel suo genere nel panorama delle birre italiane.
Si presenta nel bicchiere con un bellissimo colore oro antico che fa pendant con la crosta rugosa del Montebore.
La schiuma è pressoché assente e le poche, grossolane bolle, che vengono in superficie, spariscono immediatamente.
Il naso è vinoso di uva, di cedro e di aceto di mele.
L’ingresso in bocca è acre, quasi asprigno ma soffice, delicato e si fluidifica subito in una facilità di beva toccante.
Vengono fuori le note fruttate di mela verde, acino d’uva, polpa di frutta e scorza di limone e, sul finale, un sentore di cenere di camino ma forse è il pulviscolo della cantina in cui sono conservate le botti che prima contenevano la Barbera Bigolla e ora serbano in grembo la loro straordinaria creatura coccolandola amorevolmente con fragranze di vaniglia, rosa, sandalo, ambra, muschio e così via.
Una birra in cui la filosofia produttiva di Riccardo, che lui chiama metodo cadrega, viene fuori spettacolarmente.
A questo trionfo della natura Riccardo ha concesso il tempo necessario affinché potesse evolversi fino ad altezze non facili da raggiungere e molti gliene sono grati.
Dopo tre birre di questa sorta, sia il Lalo che io siamo visibilmente provati ma abbiamo ancora la lucidità di concordare con Riccardo una nuova degustazione in tempi strettissimi.
Prima di salutarci ed abbracciarci ci mette in mano a ciascuno  una bottiglia di Demon Hunter.
La berremo  a casa, ma non è detto: il viaggio da Montegioco a Pavia è lungo.

 

Birrificio Montegioco
Frazione Fabbrica, 1  Montegioco (AL)