Gli Svitati
Basta poco! direbbe Vasco Rossi.
Basta un tappo a vite per fare la rivoluzione.
Una rivoluzione iniziata negli anni Ottanta da parte di cinque gemme preziose del patrimonio vitivinicolo mondiale, protagonisti di cambiamenti epocali: Franz Haas, Graziano Prà, Silvio Jermann, Mario Pojer e Walter Massa.
Il vino è talmente immaginifico che ha portato questi cinque ragazzi degli anni ’50, cinque enologi, cinque imprenditori che si sono sempre distinti nella loro vita e con le loro viti, a diventare testimoni e messaggeri di un altro grande cambiamento: sostenere la scelta del tappo a vite nel mondo del vino italiano.
L’ “atto terroristico” (W.Massa), contro la pseudo democrazia del tappo di sughero (agglomerati compresi) con i suoi obsoleti retaggi culturali e per perorare al mondo la civiltà del tappo a vite, si è consumato il 6 marzo 2023 nella cornice di Villa Sorio a Gambellara.
L’idea di formare questo gruppo è nata all’AIS di Brescia, durante una degustazione incrociata e comparativa con i vini di Graziano Prà e quelli di Walter Massa.
In quell’occasione, Prà svela a Massa che, a partire dalla vendemmia 2022, il suo Soave, in tutte le declinazioni, avrà il tappo a vite e che vorrebbe comunicarlo con un evento aziendale.
Immediatamente la mente di Massa si mette in movimento e il ricordo va a Franz Haas, che nel frattempo è volato nelle vigne del cielo e all’impegno da lui profuso per studiare e comunicare questa chiusura, in sinergia con Silvio Jermann.
Poi ci si mette anche il destino e, fortuitamente, ad una festa di compleanno nel Parmense, con musica dal vivo, Mario Pojer e Walter Massa si incontrano. Mangiano, bevono, discutono e, alla fine, si ritrovano sul palco a cantare con la base musicale di Albachiara di Vasco Rossi. Walter tira la volata e Mario, dietro, gli fa da contraltare: “Svitiamo piano per far tanto rumore, t’imbottiglio buono e ti svito ancora migliore. Rimani rosso se qualcuno ti beve… senza problemi, senza pensieri… Non puzzi per tirare attenzione, un particolare, solo per farti bere, e farci godere!”.
Non si rendono ancora pienamente conto che sui Colli di Parma stanno nascendo “gli Svitati”, che prima di essere titolari di cantine sono uomini coraggiosi che rispondono ai nomi di Franz (junior), Graziano, Mario, Silvio e Walter.
La motivazione iniziale, condivisa da ognuno di loro, è spiegare a tutti i consumatori, soprattutto a quelli che hanno meno dimestichezza con le dinamiche che stanno dietro (e dentro) una bottiglia, che il tappo a vite è un atto di rispetto per il vino, per chi ne fruisce e per la natura nel suo complesso. Di certo danno per scontato, visto il costo delle loro bottiglie (anche quelle più economiche), che non sia un’azione per abbattere il costo di produzione.
L’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo è il perfetto mantenimento di tutte le qualità (non solo organolettiche) del vino, faticosamente perseguite e valorizzate dalla sapienza del lavoro in vigna e cantina. Non ultimo è la possibilità di dimezzare i contenuti di solfiti nello stesso vino con i 2 tipi di chiusura.
Il sasso è stato lanciato nello stagno del vino e qualcosa si è smosso; così come oggi si parla di territorio, lievito, tannini, pietra focaia, polifenoli, minerale, etereo, vinoso… tra meno di cinque anni, nella parlata di settore, le parole “Saranex” e “Tinfoil”, saranno all’ordine del giorno.
Naturalmente sul mercato ci sono delle resistenze volte a difendere il tappo tradizionale ma ognuno di loro tira dritto nella strada intrapresa con l’obiettivo di comunicare che è ormai arrivato il momento di sgravarsi da impropri retaggi culturali che limitano le capacità del vino di elevarsi.
Basti pensare a quanti bevono l’etichetta, la cosiddetta immagine, invece di bere secondo natura, con la consapevolezza che, più la confezione è essenziale, più la percezione di qualità è alta.
Per fortuna sempre più gente si affida con la stessa fiducia al costruttore di auto per le gomme della propria macchina e al produttore di vini per la chiusura delle bottiglie.
Tra questi c’è la generazione dei millennials che stanno insegnando ai loro genitori e nonni, qual’è la civiltà del vino.
Il risultato è che su 12 ristoranti italiani con le tre Stelle, 12 hanno in carta almeno un vino degli “Svitati”, col tappo a vite.
Ma anche il mercato italiano, negli ultimi otto anni, sta andando sempre più verso questa chiusura. Oggi, quattro bottiglie (304 milioni) su dieci hanno il tappo a vite, con una percentuale che, in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021.
Se poi guardiamo al mercato globale i dati sono ancora più significativi: nel 2020, nel mondo, sono state tappate col tappo a vite ben 18 miliardi di bottiglie pari al 32,4% del totale, con un trend in crescita che supererà il 35% nel 2025 (dati Stelvin e Guala Closures).
Da ormai quasi quattro decenni, i cinque visionari, hanno cominciato a riflettere sul possibile utilizzo di tipologie di chiusure alternative al sughero. Il loro sguardo pionieristico si è inevitabilmente spostato verso le nuove frontiere del vino che, negli anni ’80, si stavano già facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Sono stati anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, fino ad arrivare al tappo a vite, che ciascuno di loro ha identificato come soluzione ottimale.
Walter Massa: “Ho cominciato a sondare il mercato nel 2010, passando progressivamente dal tappo tradizionale a quello a vite e, con la vendemmia 2021, tutti i miei bianchi, tuttissimi, anche i cru, avranno il tappo a vit. Da anni è iniziato lo studio del tappo a vite coi rossi affinati. Tutti i prossimi imbottigliamenti dei quattro vini mancanti della collezione, Monleale da uve Barbera, Bigolla da uve Barbera, L’avvelenata da uve Freisa e Pertichetta da uve Croatina, avranno almeno il 20 % delle bottiglie chiuse col tappo a vite. Questa scelta è dettata dalla volontà di mettere a confronto sul mercato, sfruttando la sensibilità dei consumatori, due tipi di chiusura e conseguentemente di contribuire alla ricerca.
Sono certo che questa sia stata una scelta giusta perché ne ho avuto più d’una conferma. La prima di queste mi è arrivata nell’ottobre 2019, appena tornato dall’ospedale dopo l’incidente in auto.
Sul tavolo di casa trovo un bellissimo ordine di Piazza Duomo di Alba: 12 Montecitorio ’16, 12 Sterpi ’16, 12 Costa del Vento ’16. Chiamo Vincenzo DonatiellIo, l’alter ego enologico di Enrico Crippa e gli chiedo se le bottiglie le vuole col tappo normale o a vite. Mi risponde: ‘Dimmi che sto sognando! Tu hai i cru col tappo a vite?’, glielo confermo e senza darmi neanche il tempo di replicare, aggiunge: ‘Tappo a vite tutta la vita’.
Qualche giorno dopo, arriva a casa mia ad assaggiare i vini, Antonio Currò, nato a Taormina, Head Sommelier de Il Duomo, di Ciccio Sultano. Gli chiedo se vuole le bottiglie col tappo classico o a vite e anche lui mi risponde: ‘Quelle a vite!’. Con la cucina e la cultura di un Ciccio Sultano e un Enrico Crippa vado contro il mondo, anche perché in ogni caso mi sento in un Duomo”.
Per rafforzare ancor di più la sua scelta, cita il filosofo ed economista scozzese di fine ‘700, Adam Smith: “Sebbene questi vigneti siano coltivati con più cura degli altri, l’alto prezzo del vino non sembra essere l’effetto ma la causa di queste cure. Con un prodotto di così alto valore le perdite causate dalla negligenza sono tanto grandi da costringere anche i più trascurati a fare attenzione”.
Mario Pojer: “40 anni fa, in Svizzera, bevevo i primi vini col tappo a vite e il futuro lo vedevo già lì. Oggi che ho 49 vendemmie sulle spalle avrei voluto veder realizzato il mio intento, ovvero imbottigliare il vino, fondere il vetro e farne una fiala. Il prodotto della vite preservato nel tempo da ogni attacco. Mi rendo conto che fondere una bottiglia è complicato anche se, recentemente, è stato fatto dall’azienda australiana Penfolds di Adelaide, che ha prodotto un vino in ampolla che costa 100.000 dollari. Se col tappo a vite (con la scienza e la tecnica) possiamo fermare l’entrata di ossigeno allora possiamo anche pensare ad una non ossidazione del vino e a una maturazione lenta. Purtroppo il mercato non è ancora pronto ma pian piano si riuscirà a rompere il tabù, il pregiudizio che vuole il momento rituale dell’apertura, anche se, sempre più spesso, il top si rivela un flop”.
Graziano Prà:“La storia inizia ad Aspen, in Colorado, nei primi anni Duemila. Lì ho una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari: è il primo segnale che il pregiudizio stava iniziando a tramontare. In quegli anni, dalle nostre parti, i disciplinari addirittura non consentivano di tappare il Soave col tappo a vite”. Per molti anni Graziano ha cercato la miglior soluzione a supporto della longevità delle sue etichette ed è stato uno dei primi a intuire le grandi potenzialità del tappo a vite. Oggi imbottiglia in questo modo tutta la linea dei suoi Soave, compresi i grandi Cru e il Valpolicella, ma punta ad estenderlo presto anche al Valpolicella Superiore perchè “credo nella vite, anche quando si tratta del tappo”.
Franz Haas. Oggi la cantina è una grande famiglia di persone che hanno preso in mano l’eredità lasciata da Franziskus alias Franz, scomparso prematuramente a febbraio dello scorso anno. Della continua e instancabile ricerca della perfezione ne ha fatto una filosofia di vita, tramandata alla squadra che oggi porta avanti i suoi insegnamenti, a partire dalla moglie Luisa che ha contribuito a far crescere la Franz Haas e dal figlio Franz. Il suo spirito innovatore ha portato la cantina verso nuovi orizzonti del “fare vino”: dall’estirpo, ad inizio anni ’80, delle pergole per sostituirle coni primi impianti a guyot, fino all’allevamento di vitigni a 1150 metri di quota, tra i più alti dell’Alto Adige, intuendo l’unicità delle caratteristiche che avrebbero portato nel calice, fino al tappo a vite, frutto di trent’anni di ricerca. L’eredità che Franz ha lasciato è un Alto Adige alla costante ricerca della perfezione e che vede nel tappo a vite la chiusura ideale affinchè “tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro lavoro, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative. Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite.“
Silvio Jermann è il primo svitato fin dal 2003. E’ un vignaiolo visionario, che dopo un’esperienza in Canada ha scelto di dedicarsi a vini fatti di testa sua, secondo la sua indole avanguardista. Il suo vino di punta, il Vintage Tunina, nasce negli anni ’70, quando parlare di “blend” sembra infrangere un tabù. Eppure crea un uvaggio inedito, assemblando uve di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. Nasce così Vintage Tunina che, nel 2016, viene giudicato il più grande vino bianco italiano nel mondo. Da innovatore ma pragmatico, Silvio si domanda allora: “Cosa succede se rompo un altro tabù e sigillo con una capsula Stelvin una bottiglia del mio migliore vino?”. Ed ecco che il tappo a vite rende Vintage Tunina e, successivamente, gli altri suoi vini, ancora più “svitati”.
Una delle parole ricorrenti nel mondo del vino è tradizione e loro stanno continuando una tradizione nel senso di tradere, portare di là, portare in avanti. Portare avanti la volontà di raggiungere e mantenere costantemente la qualità.
E per far questo studiano, si applicano, ricercano come è nella tradizione.
Il mondo del vino è umanità e il vino è importante per l’umanità perché ci ha accompagnato nella gioia e nel dolore, da quando l’uomo esiste.
Il vino non l’ha progettato nessuno ma va rispettato, protetto, salvaguardato da tutte le insidie che lo minacciano, perché il vino è una cosa seria (Maga Lino).