Il vino attraverso un viaggio

I Colli Tortonesi, il Timorasso e Walter Massa

 

“Seguir con gli occhi un airone e poi ritrovarsi a volare”.
Le rime poetiche di Mogol-Battisti mi aiutano ad iniziare il racconto di un viaggio che intraprendo in compagnia di mia figlia Carolina, fresca sommelier FISAR, con una vera passione per il vino oltre ad una grande competenza enoica: è la compagna ideale con la quale condividere quest’esperienza.
Partiamo insieme da Pavia, in sella alla mia Vespa, per andare a conoscere da vicino i Colli Tortonesi,  il loro prodotto più straordinario, il Timorasso e il suo interprete più straordinario,  Walter Massa.
È una mattina di nebbia tipica della brughiera battistiana, che però si dissolve ben presto alla comparsa di un bel sole che illumina il nostro cammino (foriero di vere emozioni) irradiando i profili delle colline.


La vocazionalità dell’agro Tortonese ha una storia lunga secoli che interessa montagna, collina e pianura.  Su quest’areale di una quarantina di chilometri di lunghezza, che spazia dalle rive del Po a quelle del Tanaro e Scrivia, si affacciano fertili terreni alluvionali e prati e boschi di castagno e quercia e vigneti che pian piano salgono verso i pascoli del Giarolo.
Qui diversi comparti agricoli sono stati interessati da un percorso evolutivo di intensivizzazione delle zone di pianura, che ha generato la ricerca e il raggiungimento di livelli qualitativi sempre più elevati. Le produzioni tipiche delle aree marginali, sono diventate man mano più riconoscibili sui mercati e oggi l’agricoltura tortonese può vantare numerose varietà di specie coltivate, nonché di preparazioni gastronomiche di qualità ad esse correlate.
Prime tra tutte le pesche di Volpedo, poi la Fragola profumata di Tortona, la Cipolla Rossa di Castelnuovo, la mela Carla della Val Borbera, la ciliegia Bella di Garbagna (cultivar autoctona), la patata quarantina e il mais Ottofile tortonese.
Nelle aree di pascolo preappenninico, l’allevamento dà ottime carni, sia vaccine che suine, dalle quali si ricavano prodotti pregevoli come il salame Nobile del Giarolo, i Giarolini e il  Cucito e altrettanto pregevoli formaggi caprini, ovini e vaccini, tra cui spicca il Montebore, la cui produzione è concentrata nei comuni della Comunità montana Terre del Giarolo, in particolare a Mongiardino Ligure (Al).    Ma in tutta la fascia collinare, la regina è la vite che dà rinomate uve per vini bianchi e rossi. Su queste terre, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, è avvenuto un miracolo che si è manifestato proprio sottoforma di una vite, il Timorasso, che un tempo era comune e di un uomo non comune, con l’orgoglio dell’appartenenza e il credo nelle proprie radici: Walter Massa, figlio di contadini da quattro generazioni (dal 1879), nati, vissuti e  attaccati ad un posto che si chiama  Monleale.
Il Rinascimento parte proprio da Monleale, dal latino Mons Legatis, Monte della Legalità e dal dialetto Mulià, ovvero terra molle (per ricchezza  idrica) e dalle terre che gli gravitano attorno, sulle quali sono nati e cresciuti personaggi come Fausto Coppi, suo fratello Serse, Giovanni Cuniolo detto Manina (vincitore di un record dell’ora), Luigi Malbrocca, detto il cinese (mitica “maglia nera” del giro d’Italia), Lorenzo Perosi (uno dei più grandi compositori italiani di musica sacra), Felice Giani (pittore tra i massimi esponenti del Neoclassicismo), don Luigi Orione (fatto santo da papa Giovanni Paolo II, nel 1980), Piero Leddi (pittore ex vivente, secondo la definizione di Walter Massa) e Giuseppe Pellizza, talmente legato alla sue radici, da aggiungere al suo nome “da Volpedo”.
Proprio dalla piazza di Volpedo, volgendo lo sguardo verso l’alto, l’autore della Fiumana incontrava Monleale, arrampicato su per un cucuzzolo e dominato da un campanile, che immortalerà su una tela, mentre si slancia a catturare il sole.
La cantina dove avviene il miracolo è proprio sotto quel campanile, sul fianco della collina dalla quale ti vengono incontro le viti, che sembrano quasi galleggiare sui delicati pendii, resi morbidi dal fiato del non lontano mare.  Qui confluiscono quattro regioni, ognuna delle quali sembra voglia contendersi questo luogo: il Piemonte, con una sequela ininterrotta di dolci colline, la Lombardia, con la grande pianura del Po e l’Oltrepo, l’Emilia, coi rilievi del vicino Piacentino, che risuonano delle vigorose melodie verdiane e la Liguria, colle sue brezze marine. E il suggestivo incrocio si manifesta, con grande forza evocativa, nelle parole di Walter quando dice che,  il vino che vi nasce,  è un prodigio “creato e dominato da quattro elementi vitali: l’acqua della Liguria, l’aria della Lombardia, il vento dell’Emilia e la terra del Piemonte”.
Dei circa 30 ettari dei vigneti Massa, più della metà sono a Timorasso.
La mia compagna di viaggio, come me, è consapevole della  valenza di questo vitigno e, per elevarsi maggiormente nella sua comprensione, è impaziente di conoscere di persona il suo straordinario fautore.
Imposto sul navigatore la funzione “percorso turistico” e la nostra Vespa ci fa salire per numerosi tornanti, poi virare per una stradina tra le vigne, poi ritornare sulla strada maestra, infine attraversare un piccolo borgo di case.  Appena fuori dall’abitato facciamo una curva a gomito e ci sembra di ritornare ancora sulla strada che abbiamo appena percorso.
È come nella canzone di Venditti: “Certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano”  e cominciamo a capire che il romantico progetto del nostro navigatore è quello di farci familiarizzare con questa terra e coi suoi abitanti che hanno le stesse facce dei contadini in sciopero
rappresentati con grande forza emotiva nel “Quarto Stato” da Giuseppe Pellizza.


La strada che da Volpedo porta a Monleale Alto, dove c’è la cantina e, nel raggio di 1500 metri, le vigne dei Vigneti Massa, ha delle curve così belle che un motociclista le vorrebbe sempre trovare sotto le ruote.  Alta è la tentazione di toglierci il casco perché, tra queste valli, ti vien proprio voglia di respirare i pollini e sentire l’odore della terra che si sparge nell’aria in una sinfonia senza fine.
L’azienda di Walter è immersa nel territorio e nelle sue problematiche, ma sono i vigneti ad esserne il comune denominatore.  L’azienda è condotta in maniera artigianale. A coadiuvarlo nella conduzione dell’azienda, oltre a 7 collaboratori fissi, ci sono mamma e sorella, ma soprattutto i due nipoti Filippo e Edoardo (20 anni).
La cantina è proprio all’ingresso del paese, a pochi passi dalla piazza e il suo custode è li, fuori, ad aspettarci.
Walter Massa è il padre putativo del Timorasso, pioniere della scoperta di questo vitigno: quando pensi al  Timorasso pensi a Walter Massa e viceversa.
È forse l’unico caso al mondo di antropovinizzazione, cioè di perfetta identificazione di un uomo con un vino. Ed è anche artefice del rilancio di un intero territorio.
La sua è una rivoluzione colturale e culturale insieme, perché come dice lui il vino è cultura.
Grazie a lui i vecchi contadini di queste parti si trasformano in nuovi contadini, con l’orgoglio di essere contadini, che dialogano insieme, fondano cooperative, si confrontano e diventano essi stessi Territorio (Oscar Farinetti, nel suo intervento in occasione del Premio della Camera di Commercio di Alessandria a WALTER MASSA ”VIGNAIOLO” IMPRENDITORE DELL’ANNO 2016, ha detto : “Walter è un uomo meravigliosamente fuori, che ha sposato il suo bellissimo territorio e che, da eretico    qual’ era, è diventato l’apripista di un settore e il riferimento di un agguerrito gruppo di produttori”).
È nemico di ogni burocrazia, istrionico, anticonformista, irriducibile, imprevedibile, goliardico, sfrontato, orgogliosamente legato alla terra e alla sua terra.
E’ stato definito in mille modi: signore del Timorasso, Maradona dei Colli Tortonesi, capo-nicchione, vignaiolo Angelico, portabandiera dei Vignaioli etici, contadino-resistente, Eretico,  Estremista di Centro, Anarchico Costituzionale, genio e sregolatezza, enfant terrible, rock star del vino, il Santo di Monleale (“ Il Santo di Monleale” su  Lavinium, 7 agosto 2018) ma la definizione che lui preferisce è quella di Partigiano del Vino, frutto di una crasi tra produttore e artigiano che compare per la prima volta su Storie di Coraggio (2013),  del suo
amico Oscar Farinetti.


Ho letto tanto su di lui e so che è un tipo schietto, genuino, che bada molto al sodo proprio come un vignaiolo autentico ma, adesso che lo vedo di persona, mi accorgo che del vignaiolo non ha né la faccia né il portamento.
Il Partigiano del Vino è all’ingresso della cantina che ci sorride, un sorriso di una forza sorprendente e speciale che conquista: “Sono contento che siate venuti in Vespa. Vi avrei presentato volentieri il mio agronomo Valentino Rossi ma, al momento, non è qui! Con lui ho imparato che il vino si fa in derapata!”.
Poi ci fa cenno di seguirlo e lo seguiamo, come i topi dietro il pifferaio di Hamelin, mentre ci conduce su un terrazzo da cui ci mostra i suoi cru più prestigiosi: Costa del Vento, Sterpi, Montecitorio.
E ci narra di essere nato in mezzo a queste vigne, nei Colli Tortonesi, che erano vitati per circa 8000 ettari, contro i poco più di un quarto di quelli sopravvissuti.
Una terra talmente ricca di uva, sia a bacca bianca che nera, da far diventare Tortona e il suo mercato, uno dei poli più importanti per il vino in Italia, fino alla fine degli anni Trenta, fino all’arrivo della fillossera quando, anche queste valli  subiscono un contraccolpo economico che porta a sradicare le vigne per piantare alberi da frutto.
E qui scorgiamo la prima velatura sui suoi occhi che ridono ma è solo una rapsodia perché si ravviva subito, rivelandoci che lui, invece, ha sempre creduto nella vite storicamente affiancata ad alberi di pesche, con i quali la sua famiglia e i suoi parenti avevano fondato il proprio benessere economico: “Cùn i pùmm e i pèrsi, i mè parènt j àn fài su ‘l condominio” (con le mele e le pesche i miei parenti hanno costruito un condominio).
Il grande salto alla Fosbury, all’indietro ma che ha dato una grande spinta in avanti a questo territorio, coincide con l’intuizione di Walter di sradicare alberi di frutta per piantare vigne di Timorasso.
Le parole gli escono dalle labbra con  passione, la stessa con la quale passa a raccontarci storie vissute tra queste vigne: storie di amori, sofferenze, gioie in cui non mancano carnali allusioni, buttate lì con un sarcasmo abbinato alla naturalezza più verace.
Carolina ed io rimaniamo ad ascoltarlo quasi incantati, mentre l’ombra di due ali passa su una vigna posta a sud-est..
Walter ci dice che l’ombra delle ali dell’airone si sta stagliando proprio sopra l’ultimo pezzo di terra appena comprato, che contribuisce a portare a circa 15 ettari la sua vigna di Timorasso.
E aggiunge che non ne comprerà dell’altra, non vuole fare il viticoltore manager, vuol fare ed essere vignaiolo artigiano. Auspica che il suo lavoro convinca marchi etici ed affermati, ad investire in questo territorio, in questa uva, il Timorasso. (Massa resterà nella storia enoica italiana anche per aver fatto diventare i Colli Tortonesi oggetto d’investimento da parte di nomi prestigiosi come la Ghersa di Moasca, Alfredo e Luca Roagna di Barbaresco, Borgogno di Barolo, Vietti di Castiglion Falletto e altri che hanno visto nel Timorasso una grande opportunità in cui credere).
La storia del vino è fatta di storie di uomini che finiscono per diventare anche geografie dei loro territori e mai come in questo caso la storia di un uomo è il racconto storico-geografico della sua terra, la cui naturale predisposizione viticola riesce finalmente a trovare, grazie a lui, una propria identità enologica.
Mentre la passione di Walter per il suo lavoro, comincia a contagiarci ecco che improvvisamente cambia registro e comincia a parlare di musica.
Io, quasi automaticamente, guardo Carolina e lei mi sorride sorniona pregustando il nuovo capitolo della narrazione. Dalla finestra vediamo l’airone che solca il blu del cielo sopra le vigne di Timorasso e, mentre plana maestoso, libera il suo canto.
Rimaniamo lì a guardarlo ammaliati  e poi guardiamo i filari da cui scaturisce il prezioso nettare e poi… ancora gli occhi verso “il cielo vicino e lontano” di dalliana memoria.
Walter però ha in mente un altro Emiliano altrettanto famoso, Vasco Rossi da Zocca e cita a memoria una strofa di una delle sue canzoni più famose, Sally: “..la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia …”, sostenendo che è così anche il vino: “tutto un equilibrio sopra la follia”.
Poi il discorso, anzi il monologo di Walter, spazia dalla storia, alla poesia, alla politica per sfociare nel motocross: “Erano i tempi in cui Tenco cantava Ciao amore ciao e non avevo alcuna intenzione di chiudermi in qualche ufficio. Per dieci anni ho cercato di placare i miei bollenti spiriti correndo in moto”.  Dalla moto alla bici il passo è breve.  Mi vengono in mente due magistrali produttori di queste terre come Marina Coppi e Francesco Bellocchio, nipoti del Campionissimo che, a Castellania, hanno reso omaggio al grande nonno chiamando “Fausto” il loro Timorasso.
Ma la filosofia di Walter ne ha contaminato molti altri in queste terre, convincendoli a credere nella potenzialità ed espressione di territorio del Timorasso  e, grazie a questa contaminazione, oggi è possibile fare degustazioni comparative con numerosi altri vini ottenuti dal Timorasso: “Nelle valli costituenti la Collina Tortonese, le Aziende che hanno investito nel Timorasso sono: Dino Mutti a Sarezzano, Paolo Poggio a Brignano Frascata, i F.lli Mandirola a Casasco, Maurizio Bruno a Monleale, Enio Ferretti a Carezzano, Enzo Canegallo a Spineto Scrivia, Roberto Semino ad Avolasca, Luigi Boveri e Daniele Ricci a Costa Vescovato, Elisa Semino e Claudio Mariotto a Vhò, Stefano Daffonchio a Berzano. Nelle vicine Valli del Novese, il Timorasso viene interpretato dall’Azienda Morgassi Superiore di Gavi e dalla Cooperativa Valle Nostra che, da uve prodotte in Val Borbera, propone “Sassobraglia”. Le aziende Valli Unite Coop, di Costa Vescovato e Cascina Degli Ulivi, di Novi Ligure utilizzano il Timorasso in assemblaggio con altre uve bianche per ottenere due vini prestigiosi: Montessoro e Ademùa. Collaboriamo uniti per far vincere il Timorasso. Usiamo la testa perché lo sviluppo di uno diventi lo sviluppo per tutti”.
La sua etica di vitivinicoltore lo porta a distinguersi nettamente dalla vitienologia praticata dai grandi produttori di vino e sostiene: “Mi sento più collega di un mastro birraio, di un casaro di malga fuorilegge che di un produttore industriale di vino”.
Non a caso una sua botte si trova a Bruxelles, presso la fabbrica di birra fondata nel 1900 da Paul Cantillon, destinata a ospitare lambic ma ci sono  sue barrique anche presso il Birrificio Montegioco di Montegioco e questo fa di Walter un mito anche fra i mastri birrai.
Carolina ed io staremmo ancora a lungo ad ascoltare questa rock star del vino ma  la mia Vespa non ha il “pilota automatico” e toccherà a me condurla fino a Pavia evitando di fare derapate.
A valle ci aspetta il Po, il grande padre ubriacone, come lo chiamava affettuosamente ma rispettosamente Gioàn, per il suo corso zigzagante, simile alla camminata di un ebbro e dobbiamo cercare di arrivare sulle sue sponde prima che faccia buio.
Peccato! So già che, appena inforcata la mia due ruote, mancheranno sia a Carolina che a me Monleale e il suo Santo la cui missione è congiungere il territorio, la sua gente,  la vigna, il vino e chi lo beve.