Il Club del Buttafuoco Storico

Il 7 febbraio 1996, dopo numerosi incontri preparativi, nasce l’Associazione Club Buttafuoco Storico, dall’unione di undici giovani viticoltori: Bruno Barbieri, Davide Brambilla, Giuseppe Calvi, Valter Calvi, Claudio Colombi, Ambrogio Fiamberti, Stefano Magrotti, Franco Pellegrini, Andrea Picchioni, Umberto Quaquarini, Paolo Verdi sostenuti e incoraggiati da alcuni amici: Luisella Gastaldi, Roberto Bigi, Francesco Braga, Enzo Marzatico, Silvio Rocca, Eugenio Achilli, Beppe Zatti, Luigi Pirotta.

L’intento unanime è quello di collaborare nella ricerca delle caratteristiche storiche, nella selezione delle vigne più vocate, nella produzione controllata e nella promozione del vino Buttafuoco.
Il primo presidente del Club è Valter Calvi, affiancato da un comitato esecutivo formato da Giuseppe Calvi, Umberto Quaquarini, Stefano Magrotti e Andrea Picchioni.
I soci del Club iscrivono ogni singola Vigna (su ogni etichetta di Buttafuoco Storico viene sempre indicata  la menzione Vigna) con una produzione massima per ceppo stabilita per regolamento (il 5 marzo 1996 viene registrato lo statuto che vincola i soci a produrre il Buttafuoco secondo un rigido regolamento interno e solo nelle annate migliori) e una data di possibilità di vendemmia basata sul raggiungimento della media maturativa delle  uve in modo da consentire ad esse di estrarre dalla terra tutta la tipicità che negli anni si trasforma in personalità. Le vigne, registrate all’albo vigneti della CCIAA con il loro nome tradizionale, devono inoltre avere tutte una importate storia alle spalle e quindi, per tradizione, aver dato sempre vini rossi di grande struttura.
Devono trovarsi all’interno della zona definita storica per la produzione del Buttafuoco, ovvero l’areale in cui insistono i 7 Comuni più vocati per i vini rossi: Stradella, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Pietra dè Giorgi, Cigognola, Broni.
Le forme di allevamento previste possono essere solo quelle tipiche dell’Oltrepo Pavese, a vegetazione ascendente.
Tutte le pratiche colturali devono mirare alla ricerca della massima qualità e alla tutela dell’ambiente.
L’uvaggio consentito è quello delle vecchie vigne composte da Croatina, Barbera, Uva Rara e Ughetta di Canneto. Nessun’altra uva è ammessa dal regolamento del Club.
Il disciplinare di produzione è decisamente superiore alla DOC (prima del 2010 la DOC Buttafuoco non esisteva, la produzione aveva il ‘cappello’ generico Oltrepo Pavese DOC) e prevede due commissioni, una di campagna e una di cantina, il cui lavoro garantirà il rispetto delle regole.
La prima commissione di cantina, che assaggia i vini ogni anno d’invecchiamento, verificandone la conformità al disciplinare e garantendone sempre lo stesso standard di qualità, è formata dagli enologi Guerino Torti e Giuseppe Zatti.
A far parte della prima commissione viticola, che verifica la quantità e la salute delle uve in vigna, stabilendone la data di raccolta, ci sono due tecnici agronomi: Eugenio Achilli e Silvio Rocca.
La prima importante decisione presa dai soci del Club è quella di presentare al pubblico, ogni annata di Buttafuoco Storico, solo dopo 25 mesi dalla vendemmia e precisamente alla mezzanotte della seconda domenica di novembre. Le note particolari che ogni singola vigna iscritta conferirà al proprio Buttafuoco, permetteranno al Club di presentare, per ogni millesimo, un ventaglio di vini unici.
Tutti i vini, atti a divenire Buttafuoco Storico, devono essere affinati in legno di rovere e devono raggiungere la tipologia dei grandi vini rossi tranquilli: colore carico e forte, grande corpo e struttura, caldo nel gusto e deciso nei profumi.
La vinificazione delle uve deve avvenire in un unico vaso vinario e il risultato di questa pratica non può più essere modificato.
Dopo l’affinamento in botte il Buttafuoco Storico deve stare in bottiglia almeno per altri sei mesi.
Il marchio di riconoscimento adottato, ha una forma ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepo Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco, da cui si dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione; all’interno spicca la sagoma di un veliero con le vele gonfie di vento minacciate da lingue di fuoco, su uno sfondo rosso ardente.

 

Viene approvata anche la bottiglia indicata nel regolamento come borgognotta antica Buttafuoco.
Ogni Buttafuoco Storico potrà presentarsi solo nella classica bottiglia di vetro scuro tipica dell’Oltrepo Pavese, sulla quale è impresso il marchio del veliero.
Sul collo di ogni bottiglia verrà riportato anche un ulteriore segno distintivo: un bollino ovale con un numero di serie progressivo che certifica tutta la filiera del prodotto.
E’ una sorta di sigillo di qualità sul quale sono impressi anche i  fuochi,   da tre a sei, che indicano il valore qualitativo medio dell’annata.

                                           

La bottiglia del Buttafuoco Storico con il marchio impresso

 

Dal 1996 ad oggi, i 6 fuochi, sono stati assegnati solo all’annata 2007.
I Buttafuoco Storico con cinque fuochi sono più numerosi, soprattutto nelle annate più recenti caratterizzate da caldo torrido, situazione ottimale per uve destinate a diventare vini rossi di grande struttura.
Il punteggio minimo richiesto al vino, per potersi fregiare del marchio, dev’essere di almeno ottanta centesimi, secondo la scheda dell’Union International des Oenologues e sarà espresso dalla commissione di cantina.
La classifica espressa in fuochi prevede:

3 fuochi  da 80/100 a 85/100 
4 fuochi  da 86/100 a 90/100 
5 fuochi  da 91/100 a 95/100 
6 fuochi  da 96/100 a 100/100

Il luogo del Buttafuoco Storico
  
La zona del Buttafuoco è formata da tre grandi aree, suddivise in base alla conformazione dei terreni: le Ghiaie, le Arenarie e le Argille.
Fanno tutte parte di un medesimo territorio; una ristretta area collinare dell’Oltrepo Pavese orientale che comprende sette comuni: Canneto Pavese, Castana, Cigognola,Pietra de’ Giorgi, Broni, Stradella e Montescano: un promontorio che rappresenta la punta più avanzata a nord della catena dell’Appennino, che si protende come una penisola nella Pianura Padana, fino a lambire il Po. La zona di produzione è lo sperone di Stradella, un crinale spartiacque tra i torrenti Scuropasso e Versa, che si trova nella prima fascia collinare dell’Oltrepo Pavese con un’altitudine che va dagli 80 ai 350 metri s.l.m..
Alla base del crinale c’è la Stretta di Stradella che storicamente è stato un punto di passaggio obbligato, forse uno dei più importanti di tutta Europa, per le popolazioni che dovevano spostarsi da Nord a Sud e da Est a Ovest e viceversa.
Si passava dalla Stretta, perché la Pianura Padana era una palude e le montagne appenniniche, ostili, a causa delle fiere che le popolavano (orsi, lupi ecc.).

Un territorio attraversato da una moltitudine di pellegrini che camminavano sulle grandi vie  della fede come la Francigena e il cammino di San Colombano  ma anche la Postumia, che congiungeva per via di terra i due principali porti romani del nord Italia: Aquileia, sede di un importante porto fluviale, accessibile dal Mare Adriatico e Genova.
La Postumia fu testimone del cruento passaggio dei Barbari, che arrivavano dal nord Europa, con la devastazione di Broni da parte di Attila nel 450 d.C..
L’altra via d’intenso traffico era quella Nord/Sud, la via dei Longobardi, che da Bobbio andava a Pontremoli e poi in Centro Italia e passava esattamente sul crinale di Stradella, dove adesso ci sono le vigne  del Buttafuoco.
Un mosaico di vigne, prati, coltivi e boschi; un territorio d’eccellenza che garantisce alle viti di godere di un’esposizione giornaliera molto intensa e di correnti durante le ore notturne per consentire una maturazione completa e graduale dei grappoli.
È una sottozona in grado di dare una base enologica di peculiarità uniche, con una caratterizzazione climatica e geologica molto particolare.
Vi sono presenti  una decina di matrici geologiche diverse: terreni sabbiosi, o su matrice gessosa-solfita, altri ancora su matrice sedimentaria marina di tipo conglomerato, ma anche argille e marne: una concrezione che va  a formare la collina come una torta a strati.
Su questi terreni le radici delle viti si spingono  fino a dieci metri di profondità e oltre, garantendosi un’autonomia idrica anche nelle stagioni calde.
Il cuore di questa zona è Canneto  Pavese, dove i terreni in prevalenza  hanno una tessitura di ghiaia, sabbia e argilla e dove i vini sono caratterizzati da una spiccata nota di balsamico.
Il nome di Canneto Pavese è inseparabilmente legato al vino in quanto, fino a pochi anni fa, era il comune italiano con la maggior superficie vitata in rapporto alla sua area territoriale.
Un territorio talmente vocato alla viticoltura da cambiare il suo nome da Montù de Gabbi a Canneto Pavese, perché il vino che vi si faceva era il vino del canneto, ovvero della canne (i pali) piantate nel terreno per ottenere dei filari e non lasciando crescere la vite come pianta che si arrampicava sugli alberi, prevalentemente da frutto.
Quindi strettissimo legame tra la produzione di uva (e di vino) e il territorio. Da queste parti quasi tutti avevano una vigna propria e l’orto di famiglia si sviluppava tra i filari.
Qui la mano dell’uomo nei secoli ha creato un paesaggio rurale di rara bellezza trasformando la natura in modo virtuoso: un equilibrio perfetto tra uomo e natura, meglio ancora tra uomo e territorio.
Un affresco che ha preso forma negli anni grazie al lavoro e alla fatica di generazioni di vignaioli. Se ti fermi a guardarlo ti incanta e se chiudi gli occhi e ascolti, ti sembra di sentire le voci dei vecchi che non sono mai andati via del tutto.
E’ uno spettacolo bello in tutti i periodi dell’anno, anche nella stagione in cui le viti si spogliano: a vederle dall’alto sembrano una sottoveste di rete che lascia intravedere le sinuose forme delle colline.
A Canneto Pavese c’è la sede del club del Buttafuoco Storico che ha anche un’enoteca in cui sono conservate le varie annate de I Vignaioli del Buttafuoco Storico.

Con l’annata 2011 inizia la produzione del Buttafuoco I Vignaioli del Buttafuoco Storico (impropriamente definito ‘consortile’), che nasce dall’assemblaggio dei vini di ogni vigna storica, di proprietà dei soci del Club e viene firmato da un enologo super partes, diverso per ogni annata, per sperimentare differenti interpretazioni.
Il progetto de I Vignaioli del Buttafuoco Storico, viene presentato per la prima volta, nel 2015, all’Expo di Milano, presso il padiglione di Regione Lombardia, come piano di valorizzazione territoriale.
Ogni vigna dà emozioni diverse, tutte rappresentate nei vari vini che entrano nell’assemblaggio, con il loro peculiare bagaglio di microzone, suoli, esposizioni, microclimi, antropologie differenti, che lo rendono unico. Hanno affinamenti diversi, che vanno dalla barrique alla botte grande e anche le tostature dei legni sono diverse. L’enologo incaricato, assaggia tutti gli atti a divenire Buttafuoco Storico, provenienti da ciascuna delle 17 vigne iscritte, che i soci portano come campione e li miscela in una percentuale da lui stabilita. Si crea così un unico grande vino, simbolo del territorio e ottimo strumento per comunicarlo.
I Vignaioli del Buttafuoco Storico 2011 è frutto della sensibilità e della sapienza dell’enologo Mario Maffi, cui sono seguiti I Vignaioli del Buttafuoco Storico di Aldo Venco nel 2012, di Claudio Colombi nel 2013, di Carlo Saviotti nel 2014, di Emilio De Filippi nel 2015 e di Marco Calatroni nel 2016.
La bottiglia è quella caratteristica del Buttafuoco Storico, sulla quale viene riportata l’annata scritta in orizzontale e la firma dell’enologo.
Le bottiglie de I Vignaioli del Buttafuoco Storico sono presenti nelle enoteche più prestigiose d’Italia e nelle carte dei migliori ristoranti. Sono già in vendita anche negli Stati Uniti, Sud America e Canada, e prossimamente arriveranno nel Sud Est asiatico, Europa e Cina.

La DOC Buttafuoco è quella veramente connessa al territorio, al contrario delle altre DOC Oltrepo Pavese che fanno riferimento al vitigno. Il vitigno può essere ovunque e quindi non è vincolato al territorio: i Francesi dicono Chablit e non Chardonnay, rivendicando l’identità territoriale. Quando si parla di Buttafuoco si parla esclusivamente di Oltrepo Pavese, perché il Buttafuoco si fa solo qui.
Il Buttafuoco ha una storia consolidata. A metà dell’ ‘800, Napoleone III°, classifica le zone vitivinicole francesi  e Staglieno fa il protocollo di vinificazione del Barolo, come riportato da Berta e Mainardi in Piemonte-Storia regionale della vite e del vino, riferendosi alle cantine del castello di Grinzane Cavour.
Nello stesso periodo si comincia a parlare di Buttafuoco e, nei primi anni del Novecento, il professor Arturo Marescalchi, esperto ampelografo, nella sua monografia sui vini tipici d’Italia, inserisce il Buttafuoco fra i migliori vini rossi d’Italia.
Attualmente gli ettari vitati sono circa trecento e una trentina le Aziende che imbottigliano (oltre ad una ventina di conferitori), per una produzione che si aggira intorno alle 370mila bottiglie.
La filosofia produttiva è quella di ottenere un vino con un buon affinamento ed una lunga evoluzione, per poter godere di tutte le espressioni della vigna.