Gian Luca Morino, il Nizza DOCG
Con le vendemmie degli anni ’90 si è definitivamente dimostrato ai consumatori e agli operatori del settore che i vini, ottenuti con le uve Barbera, hanno una precisa collocazione nel panorama mondiale dei vini di alta qualità.
Però, come sostiene Walter Massa (Monleale dei Colli Tortonesi), ci sono due Barbere: una Lenta e una Rock.
Quella Rock segue il percorso naturale, dalla vigna al bicchiere.
L’altra, quella che non fa il percorso naturale, è quella Lenta.
La parte del leone, purtroppo, continua a farla quest’ultima in un mercato basato su certificazioni che promuovono soluzioni idroalcoliche a basso prezzo, squalificanti, sia per il contadino che vive di vigna, che per il consumatore finale.
Il futuro sarà della Barbera Rock che prevarrà su quella Lenta e sarà riconoscibile per tutti, in quanto, chi popola le colline della Barbera e ci vive, tornerà a coltivare la vigna con il sorriso.
Lo stesso che ha stampato in faccia Gianluca quarta generazione dei Morino, che oggi guida l’azienda fondata nel 1900, coadiuvato da suo padre Pasquale.
Proviene da una famiglia di contadini che fino al 1985 avevano anche un’azienda zootecnica, un allevamento di vitelli, come tante altre aziende nella zona di Nizza.
L’azienda si chiama Cascina Garitina a Castel Boglione nel Monferrato in provincia di Asti e prende il nome della bisnonna Margherita, il cui diminutivo “Margheritina” in dialetto è appunto Garitina. E’ lei che iniziò l’attività nel 1900.
Oggi ha circa 26 ettari, vitati quasi tutti a Barbera (80%), con vigne vecchie anche più di settant’anni.
Alcune delle più grandi espressioni del Nizza DOCG nascono qui.
Gianluca è un uomo che sa stare al mondo: ha studiato enologia ad Alba ma la vera scuola l’ha fatta accanto a suo padre, in vigna.
E’ uno che ama la terra, la sua terra in particolare e che ama quello che per lui è il suo frutto più bello: la Barbera.
Per la sua valorizzazione si è battuto fino a diventare il principale artefice della rivoluzione della Barbera d’Asti.
Tutti i grandi uomini del vino han fatto una rivoluzione.
La sua è iniziata nel 1994, insieme a una dozzina di produttori dell’associazione Vigne del Nizza, confluita nell’associazione Produttori del Nizza, nel 2002, a seguito del riconoscimento ufficiale della sottozona Nizza.
Presiederà quest’associazione per nove anni e sarà protagonista di grandi rinnovamenti.
La sua prima geniale intuizione è togliere il nome del vitigno Barbera dall’etichetta.
La parola Barbera come mezzo di comunicazione poteva essere un freno ed era quindi necessario puntare sul territorio.
Se a Barolo il Nebbiolo si chiama Barolo e a Barbaresco si chiama Barbaresco, se a Chablis lo Chardonnay si chiama Chablis, qui la Barbera doveva chiamarsi solo Nizza.
Dal 2016, oltre 40 aziende associate hanno il riconoscimento ufficiale del Nizza DOCG, una grande Barbera che si può fare in solo 18 Comuni, da sole uve Barbera, da vigneti con una resa massima di solo 70 quintali per ettaro e un affinamento minimo di 18 mesi di cui 6 in legno.
Niente a che vedere con certe Barbere di 2 o 3 anni premiate in certe pseudo guide.
La Barbera è ricca di antociani e povera di tannini e ha bisogno di tempo! Non è come il Nebbiolo: è buona d’animo e si concede anche da giovane ma col tempo vengono fuori tutte le sue bellezze, le sue evoluzioni, i suoi picchi qualitativi, le sue biodifferenze.
Nel lavoro fatto da Gianluca e dai Produttori del Nizza c’è una marcata similitudine con quello fatto in Oltrepo Pavese dai soci del Club del Buttafuoco Storico che, analogamente ai loro colleghi piemontesi, si sono dati un disciplinare più restrittivo rispetto a quello della DOC, in cui il tempo ha una grande valenza per privilegiare la qualità del loro vino.
Gianluca è un amico dell’Oltrepo Pavese e di molti viticoltori di quelle terre e forse non è per niente casuale che ci sia anche una similitudine con un altro grande vignaiolo dell’Oltrepo Pavese, Maga Lino, perché entrambi hanno l’annata 2003 come spartiacque per la consacrazione del loro lavoro.
Nel 2003 Maga Lino esce dalla DOC con il suo vino di punta, il Barbacarlo ed ottiene il Sole, il prestigioso riconoscimento attribuito da Gino Veronelli (il Barbacarlo 2003 sarà l’ultimo grande vino rosso italiano ad ottenere il Sole di Veronelli).
Nello stesso anno 2003, Gianluca, con i suoi cru, entra prepotentemente nei mercati diversi Paesi europei.
A sentir lui, il complimento più bello che possono fare a un suo vino è che rispecchi il territorio e il suo carattere. Da questo punto di vista, le sue creature che lo rappresentano di più sono il 900 Vegia Nizza DOCG, il 900 Cec Nizza DOCG e il 900 Margherita Nizza DOCG.
Nascono da tre diverse vigne: Cec, Vegia e Margherita, che crescono su terreni con caratteristiche differenti. Tre Nizza uguali nell’anima ma diversi nella struttura.
La Vigna Cec prende il nome da Francesco (in dialetto diventa Cec) che la impiantò nel 1947. Un terreno limo-argilloso grasso. Gli acini sono molto piccoli ma estremamente colorati. L’affinamento in botti grandi (dei 3 Nizza è quello che ha bisogno di più tempo per aprirsi completamente)conferisce a questo Nizza profumi complessi che si completano con l’affinamento in bottiglia.
La Vigna Vegia prende il nome direttamente dal periodo d’impianto della vigna (anni Cinquanta) che si trova in una delle parti più alte dell’azienda, a circa 380 metri s.l.m., dove le Arenarie di Serravalle affiorano. Il terreno è molto duro, calcareo e il nonno Giovanni, quando l’ha impiantata, ha utilizzato un port’innesto vigoroso che ha generato ceppi molto grandi sui quali, ancora oggi si possono vedere le cicatrici dovute agli interventi delle lavorazioni effettuate negli anni. Il terreno è chiaro, compatto e trasmette eleganza, finezza e freschezza. I Nizza della Vigna Vegia hanno una grande longevità. L’affinamento viene fatto in botti grandi e l’equilibrio perfetto si raggiunge con qualche anno in più di bottiglia.
La Vigna Margherita è quella che la bisnonna Margherita ha iniziato a lavorare nel 1900. Il terreno è una marna bianca friabile che conferisce alle uve un equilibrio già dalla fase giovanile. Il Nizza della Vigna Margherita è caratterizzato dall’ utilizzo di legno nuovo, per estrarre la freschezza e l’eleganza della Barbera.
Tre suoli differenti: nelle prime due vigne ci sono selezioni massali di cloni di viti diverse le une dalle altre, mentre per la Margherita, reimpiantata nel 2002, è stato utilizzato solo il clone di Barbera AT84.
Dall’unione delle 3 vigne del Nizzanasce il 900 Gianola Nizza DOCG Riserva (Il vecchio Neusènt, che vuol dire 900, in dialetto ed è un progetto realizzato prima della DOCG Nizza).
Viene elevato in tonneaux nuovi e poi riposa almeno 4 anni in bottiglia prima di andare sul mercato.
Il 23 aprile 2023 ha debuttato il 900 Gianola 2016 Nizza DOCG Riserva, in bottiglia da settembre 2018 (uve vendemmiate nella prima settimana di ottobre).
Come spiega Gianluca, il progetto 900, “è in onore della mia bisnonna che in quell’anno ha fondato l’azienda e ai primi anni del ‘900, con la lotta per l’emancipazione femminile, anni in cui c’erano pochissimi soldi e si viveva con il baratto”.
Gianluca viene definito anche “vignaiolo 2.0” perché è stato uno dei primi ad utilizzare le nuove tecnologie e i social per comunicare il suo modo di essere viticoltore ed uno dei primi a intuire le grandi potenzialità del tappo a vite.
Oggi utilizza questa chiusura su tutte le sue bottiglie, compresi i cru: il Nizza Margherita è chiuso con il tappo a vite Korked Spin a permeabilità controllata dell’ossigeno, il Nizza Vegia con il Korked Spin a permeabilità controllata dell’ossigeno, il Nizza Cec con il Korked Spin Minus, a bassa permeabilità dell’ossigeno.
E questa non è certo un’azione volta ad abbattere il costo di produzione, visto il prezzo medio dei suoi vini.
La motivazione, nella scelta del tappo a vite, è spiegare a tutti i consumatori, soprattutto a quelli che hanno meno dimestichezza con le dinamiche che stanno dietro (e dentro) una bottiglia, che il tappo a vite è un atto di rispetto per il vino, per chi ne fruisce e per la natura nel suo complesso perché la chiusura è in alluminio e l’alluminio lo puoi riciclare all’infinito.
Purtroppo in molti continuano ancora a vedere la stappatura della bottiglia come un TOP anche se sempre più spesso rischia di diventare un FLOP.
Per fortuna il mercato italiano, negli ultimi anni, sta andando sempre più verso il tappo a vite. Oggi, quattro bottiglie (304 milioni) su dieci hanno questa chiusura, con una percentuale che, in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è arrivata al 34% nel 2021.
Se poi guardiamo al mercato globale, i dati sono ancora più significativi: nel 2020, nel mondo, sono state tappate col tappo a vite ben 7 miliardi di bottiglie pari al 33% del totale, con un trend sempre più in crescita.
Gianluca dal 2010 ha deciso di rinunciare alla sudditanza del tappo di sughero (agglomerati compresi) con i suoi obsoleti retaggi culturali e sostenere la civiltà del tappo a vite.
Nel mondo del vino questa è un’altra rivoluzione analoga a quella del Nizza.