La Tenuta La Riva – Castello di Serravalle Valsamoggia
Attraversando lo spettacolo dei ciliegi di Vignola, la strada si inerpica e, fiancheggiando le case torri (nuclei rurali in sasso caratterizzati dall’elemento architettonico della torre, un tempo fattore di difesa, poi colombaie, allevamento dei colombi), conduce dolcemente, sempre più in alto, finchè ti appare lo spettacolo dei calanchi nell’area compresa tra Castelletto, Bersagliera, Maiola e Tiola.
Proseguendo per questa strada, si arriva al Castello di Serravalle che, nell’anno 772, diede asilo a Carlo Magno, nel suo viaggio verso Roma.
Fino al 1109 fu feudo di Matilde di Canossa, poi conteso tra i guelfi di Bologna e i ghibellini di Modena e infine dimora della famiglia Boccadiferro, il cui capostipite ebbe dodici mogli che uccise una dopo l’altra tra le antiche mura finchè non perì egli stesso per mano della tredicesima moglie, che aveva mangiato la foglia.
Una leggenda narra che nella rocca vagano gli spettri delle mogli del crudele Boccadiferro e nelle notti di maggio escono nel borgo spargendo un misterioso profumo.
Lasciando alle spalle il castello e le sue presunte fragranze, si arriva in una grande piana e di qui, per una piccola stradina, alla Tenuta La Riva, in un palcoscenico di vigneti adagiati sulle marne argilloso-arenacee, ad un’altezza di circa 220 mt. sul livello del mare.
Le vigne sono suggestive, messe tutt’intorno al nucleo centrale della cantina e formate da viti in parte giovani e in parte vecchie anche di 60 anni.
Per allevare la vite qui, soprattutto d’estate, quando le temperature arrivano ben oltre i 30 gradi e la calura avvolge con la sua veste ardente le dolci bacche, ci vuole un fisico bestiale e Alberto Zini, titolare de La Riva, il fisico ce l’ha.
Guardando queste vigne hai subito l’idea di una radicata tradizione vitivinicola.
Generazioni di uomini vi hanno buttato sudore e anche Alberto che ne è proprietario dal 2013, le cura mettendoci impegno e rispetto.
Gli ettari della tenuta sono 25, di cui 12 vitati, con 8 tipologie di vitigni, che sono: Chardonnay, Trebbiano Modenese, Lambrusco Grasparossa, Barbera, Merlot, Cabernet Sauvignon, Sauvignon Blanc e Grechetto Gentile meglio noto come Pignoletto, che la fa da padrone (e anche un po’ di Albana e di Moscato).
L’erba viene tagliata durante l’anno e lasciata lì insieme alle foglie, quando la vite si spoglia. È concime.
I grappoli sono raccolti manualmente verso fine agosto, per la produzione di basi da spumantizzare: Metodo Classico (in cantina ci sono bottiglie di oltre 50 mesi sui lieviti) e Ancestrale.
Le uve restanti, destinate alla produzione degli altri vini della cantina, vengono vendemmiate a settembre inoltrato, scartando quelle che presentano delle imperfezioni ma è una selezione assolutamente necessaria per preservare il frutto sano e sfruttarne al meglio la purezza.
L’uso del metabisolfito è ridotto al minimo (di molto inferiore ai limiti imposti), perché se l’uva è sana e sai quello che finisce nelle vasche, non c’è bisogno di aggiungere tanti additivi.
Niente pesticidi e concimi chimici e un uso chirurgico dei trattamenti in vigna.
Per fare un vino genuino ci vuole una terra genuina ed ecco che la terra diventa il luogo da cui partire per lavorare in ottica sostenibile aderendo alla lotta integrata con rigorosi controlli.
Un luogo nel quale la coscienza dell’uomo è legata inscindibilmente con la vigna.
Fare vino non è semplice agricoltura, tant’è che si dice allevare la vite e non
coltivare la vite e non ci si può improvvisare viticoltori se non si è nati sulla terra, se non ci si è sporcati con essa le mani, se non si è disposti a prendere tutto quel che ha da offrirti e a dare quando te lo chiede, perché quel che dà la terra non è mai regalato.
La terra bisogna curarla e servirla con gioia seguendo gli insegnamenti dei vecchi (anche quando devi innovare), lottare con essa e a volte contro di essa proprio perché da questa lotta, il sapore del frutto che se ne ricava diventa più vigoroso.
Come le prove e i patimenti che ti riserva la vita, che ti temprano e ti fanno più forte.
Non ci si può, quindi, improvvisare viticoltori a meno che non ci sia una passione che, pur se la vita ti porta da un’altra parte, non puoi fare a meno di assecondare.
È quel che è successo ad Alberto Zini, classe 1974, nato a Modena ma di Zocca da sempre.
Alberto è un Emiliano purosangue con il marcato accento di quelli de La Zòca, scevro di fronzoli e con due occhi che ridono sempre, rendendo meno imperiosa la sua possente mole.
È uno che ha lavorato fin dalla tenera età nel mondo delle costruzioni (impianti elettrici-idraulici), diventando un leader nel suo settore e adesso che si trova per le mani una vigna, sa che dovrà affrancarsi dai ritmi frenetici dell’impresa perché il vino ha i suoi tempi.
Viene da una famiglia, con la passione per la vigna da tre generazioni (suo padre attualmente si occupa dei lavori di campagna) e sa anche che in campagna, lui e le sue doti imprenditoriali, saranno solo una delle componenti assieme al clima, al terreno, all’andamento delle stagioni, alle malattie, alle congiunture favorevoli o sfavorevoli, alle scelte dell’enologo, che concorreranno a far buono il vino.
La Tenuta La Riva è una vigna ma per Alberto è un’azienda e va trattata come tutte le aziende, “deve creare delle risorse e diventare un mestiere per i miei figli, più a misura d’uomo”.
Però è anche un sogno che vorrebbe realizzare per vivere, “la mia seconda vita”.
Ce la sta mettendo tutta, concentrando le sue risorse sui vini che più rappresentano La Riva: il PIGNOLETTO Metodo Classico, 100% uve Pignoletto, il CHATRE’ Metodo Classico, uve Chardonnay e Trebbiano Modenese (il nome deriva dall’unione dell’iniziale dei due vitigni), il FARNE’ VIII Metodo Classico, 100% uve Trebbiano Modenese-Affinamento sui lieviti minimo 18 mesi, (VIII, perché è l’ottavo vino prodotto in via Farnè), il FARNE’430 Metodo Classico, 100% uve Trebbiano Modenese-Affinamento sui lieviti minimo 30 mesi, (prende il nome della via e del numero civico dove è ubicata l’Azienda), PIGNOLETTO Surlì Metodo Ancestrale, 100% uve Pignoletto, LAMBRUSCO DELL’EMILIA Metodo Classico, 100% uve Lambusco Grasparossa (di questa tipologia c’anche il Metodo A.).
La Tenuta La Riva si trova al centro di una zona straordinariamente vocata alla viticoltura per caratteristiche climatiche e per composizione dei terreni tant’è che proprio qui, a Serravalle Bolognese, c’è l’ Ecomuseo della Collina e del Vino.
Un posto nella Valsamoggia, bacino imbrifero del torrente Samoggia, tributario del fiume Reno dove, accanto alla vite, si sono conservate le tradizionali attività agricole e di allevamento intensivo: chiudendo gli occhi e ascoltando, ti sembra di sentire le voci e gli insegnamenti dei vecchi che non sono mai andati via del tutto.
Da quest’anno La Riva è in conversione bio, un obiettivo cui si era dedicato con passione Alessandro, enologo e grande amico di Alberto che dal 30 marzo di quest’anno è volato nelle vigne del cielo e da lì continua ad ammonirlo: “ Ricordati che il vino si fa in vigna”.
E Alberto lo ripete a Francesco suo figlio, 7 anni appena e ancora incapace di cogliere il messaggio paterno ma che non perde l’occasione di stare in cantina, giocando con lui a fare il vignaiolo.
E, a sua figlia Aurora, di 13 anni, che invece ne ha già piena consapevolezza, aggiunge: “Essere in mezzo alla natura, vedere come si evolve una pianta, raccoglierne i frutti, trasformarli in vino e magari arrivare ad avere un premio per quel vino, sono soddisfazioni che solo il lavoro del vignaiolo ti può dare”.
Alberto (e sua moglie Michela, che lo supporta nella sua avventura lavorando efficacemente dietro le quinte) ha le carte in regola per guadagnarsi lo spazio che merita nei Colli Bolognesi del Vino contribuendo a renderli più belli e buoni.
Società Agricola La Riva s.s.
Via Farnè, 430
Castello di Serravalle Valsamoggia (Bo)
La Tenuta La Riva è una vigna ma per Alberto è un’azienda e va trattata come tutte le aziende, “deve creare delle risorse e diventare un mestiere per i miei figli, più a misura d’uomo”.
Però è anche un sogno che vorrebbe realizzare per vivere, “la mia seconda vita”.
Ce la sta mettendo tutta, concentrando le sue risorse sui vini che più rappresentano La Riva: il PIGNOLETTO Metodo Classico, 100% uve Pignoletto, il CHATRE’ Metodo Classico, uve Chardonnay e Trebbiano Modenese (il nome deriva dall’unione dell’iniziale dei due vitigni), il FARNE’ VIII Metodo Classico, 100% uve Trebbiano Modenese-Affinamento sui lieviti minimo 18 mesi, (VIII, perché è l’ottavo vino prodotto in via Farnè), il FARNE’430 Metodo Classico, 100% uve Trebbiano Modenese-Affinamento sui lieviti minimo 30 mesi, (prende il nome della via e del numero civico dove è ubicata l’Azienda), PIGNOLETTO Surlì Metodo Ancestrale, 100% uve Pignoletto, LAMBRUSCO DELL’EMILIA Metodo Classico, 100% uve Lambusco Grasparossa (di questa tipologia c’anche il Metodo A.).