“Era tempo di vendemmia e, mentre attraversavo le strade del paese per andare a scuola (facevo la seconda elementare) sentivo l’odore del mosto, ancora più forte che nei giorni precedenti.
Le lezioni iniziavano alle otto ma la maestra, alle otto e mezza, non era ancora arrivata. Allora io mi alzai dal banco e uscii dalla classe.
Presi il corridoio, dove si affacciavano tutte le altre aule con le porte spalancate, passai davanti al bidello di guardia all’ingresso e m’incamminai verso casa.
Non mi fermò nessuno: oggi sarebbe scattata una denuncia nei confronti della scuola ma erano altri tempi.
Quando mio padre mi vide arrivare strabuzzò gli occhi: ‘Voglio venire anch’io a raccogliere l’uva’, gli dissi.
Quella fu la mia prima vendemmia.
Avevo sette anni”.
Oggi Mariapaola Di Cato, di anni ne ha 38 e, dopo un diploma al liceo classico (Ovidio) di Sulmona e un percorso di laurea in Scienze Politiche all’Università di Pisa, è ritornata da dove non era mai veramente partita: un posto che si chiama Vittorito, in provincia dell’Aquila.
Un minuscolo borgo nella terra d’Abruzzo a circa 400 mt. s.l.m dove il parco della Majella incontra le montagne del Morrone.
È la valle Peligna, dove è nato il Montepulciano d’Abruzzo.
La vigna qui racconta una storia di contadini, uomini e donne, che da millenni buttano fatica e sudore per cavarne vino.
Colline arse dal sole d’estate e gelide d’inverno.
Qui i contadini hanno sempre lottato per difendere l’uva.
Lotte impari, come quelle contro le gelate primaverili, annunciate dall’urlo delle sirene che squarciavano le notti e combattute con i fuochi accesi nelle vigne o con l’ammoniaca disciolta in bidoni pieni d’acqua (caldaie) da cui saliva una nuvola artificiale che andava ad abbracciare le viti per proteggerle dalle basse temperature e impediva al gelo di bruciarne i germogli.
Vivere di sola campagna era dura e in molti sono andati a cercare lavoro lontano: “ Da queste parti molti contadini si sono reinventati bottai o innestatori. Dopo il disastro della fillossera in tanti impararono ad innestare sulla barbatella americana. Lungo gli argini del fiume Aterno, dove il terreno è sabbioso venivano messe a dimora le marze. Innestarono gran parte dei vigneti di Vittorito ma anche della costa e di altre regioni. Il fratello del mio bisnonno andò ad innestare nei vigneti della Toscana e non è più tornato”.
Man mano che i ricordi affiorano alla memoria, Mariapaola racconta:
“Il mio bisnonno, come tanti altri vignaioli di Vittorito, conferiva la sua uva ai Signorotti della zona di quel tempo. Quell’anno era stata un’ottima annata e lui arrivò col suo carro stracarico di uve ma si sa che il prezzo dell’uva non ha mai corrisposto al suo valore. Il fattore lo fermò e si mise a rovistare i grappoli in cerca di una scusa per deprezzare l’uva. Il mio bisnonno era un tipo ribelle ma soprattutto aveva l’orgoglio contadino e nessuno poteva permettersi di sprezzare il suo lavoro. Così se ne tornò a casa col suo carro pieno, prese la cappa e un po’ di pane e andò verso le terre marsicane a cercare un altro compratore. Tornò dopo tre giorni coi soldi in tasca e il carro per metà pieno di patate…”.
Tutto questo non bastava e, nel dopoguerra “quando fecero la campagna (che si rivelò illusoria) del Belgio, partì. Si ritrovò a dover lavorare nelle miniere. Sapeva che non poteva crescere tre figli con quello che si coltivava. Tornò al paese solo nel ’60. E per fortuna! Perché con lui mio padre, ché è rimasto orfano all’età di 4 anni, è cresciuto ed ha imparato a lavorare la terra, le viti”.
Il territorio di Vittorito, è una distesa di vigne che, come sottovesti di rete, lasciano intravedere la terra nera e sassosa sottostante.
Un luogo ancora miracolosamente integro, di una bellezza primitiva, selvaggia e seducente.
Ancora oggi quelli che vi lavorano, ci mettono impegno, passione, attaccamento. E nel caso di Mariapaola, amore.
Francesco, il padre di Mariapaola prende in custodia le vigne e, nel 2005, insieme danno vita ad una realtà produttiva basata sulla cura e il rispetto della terra.
È proprio Mariapaola a tracciare la strada: per fare un vino genuino, ci vuole una terra genuina ed ecco che la terra diventa il luogo da cui partire per fare un’agricoltura biologica o meglio, una viticoltura culturale.
Solo tre tipologie di vitigni: Montepulciano d’Abruzzo, Malvasia Aquilana e Passerina (“che nel gergo locale chiamano anche Camplese, Campolese, Caccione, Uva Fermana, Uva Passera…”).
La Passerina è il vigneto nuovo, piantato nel 2018 e che entrerà in produzione di qui a qualche anno.
Al momento ci sono solo alcune piante sparse nel vecchio vigneto di Malvasia da dove sono state prese le marze per essere riprodotta.
Nelle sue vigne (un ettaro e mezzo in tutto), i pali cui si aggrappano i tralci sono tutti di legno, con diametri di 8/10 centimetri, la resa è bassa, non più di 50 quintali per ettaro e ancora più bassa la resa in vino.
Niente pesticidi e concimi chimici e un uso chirurgico dei trattamenti in vigna.
L’erba viene tagliata 2/3 volte l’anno e lasciata lì insieme alle foglie, quando la vite si spoglia. È concime che si aggiunge al sovescio.
Le uve si raccolgono manualmente verso fine settembre/primi di ottobre quando sono vellutate, gravide: arrivano nelle ceste in cantina e vengono diraspate a mano.
In cantina, ad eccezione di percentuali bassissime di metabisolfito, la chimica è bandita perché si applica il principio che il vino non si fa, si ottiene dalla natura e non c’è niente di meglio che lasciar lavorare la natura secondo i suoi ritmi e i suoi crismi: fermentazioni spontanee, decantazioni naturali, macerazioni sulle bucce.
Ogni anno solo 4000 creature, dal 2014 certificate biologiche, suddivise in:
Eughenos Raggio di Luna, Cerasuolo d’Abruzzo DOP (Montepulciano d’Abruzzo 100%)
Dal 2015 si chiama “Rosato Terre Aquilane”: perde la denominazione “Cerasuolo” perché non conforme ai parametri del disciplinare e nel 2016 per bassa gradazione alcolica (11,5%).
Macerazione sulle bucce per circa 20 ore.
Mariapaola avrebbe potuto intervenire in cantina per ovviare a queste carenze, come hanno fatto tanti altri viticoltori “perché nel 2016 c’è stata una gelata in primavera che ha colpito gran parte dei vigneti e compromesso l’integrità delle uve. Per aumentare il grado alcolico avrei potuto aggiungere del mosto concentrato ma ho preferito lasciarlo come me l’aveva dato la natura e uscire dalla denominazione”.
AnimaErrante Montepulciano d’Abruzzo DOP (Montepulciano d’Abruzzo 100%)
Le uve diraspate fermentano sui propri lieviti. Follature manuali almeno due volte al giorno.
Affina in acciaio 12 mesi decantando per sedimentazione tra un travaso e l’altro, poi imbottigliato.
Nonno Mariano Montepulciano d’Abruzzo DOP Terre dei Peligni (Montepulciano d’Abruzzo 100%)
Il vino che Mariapaola ha dedicato a suo nonno.
Decantazione in cisterne d’acciao con ripetuti travasi e affinamento per almeno 12 mesi in botti di rovere di Slavonia.
Esce solo in grandi annate. L’ultima in commercio è la 2014.
Eughenos Raggio di Sole, Malvasia Terre Aquilane IGP (Malvasia 100%)
Fermentazione spontanea in acciaio e macerazione sulle bucce per tutta la durata della fermentazione, decanta naturalmente per 6 mesi di in damigiane di vetro.
L’annata 2016 di questo vino è un dono della natura che si presenta di un colore ambrato brillante, evocante il fondo oro che Andrea De Litio ha dipinto alle spalle della Madonna d’Alto Mare, nel Duomo di Atri.
Nel bicchiere si manifesta con una complessità stracolma di pregevoli sfumature, un nerbo teso, spesso e un carattere che cresce euforicamente ad ogni assaggio, col profumo croccante della buccia del chinotto, delle mele limoncelle” di Pratola Peligna ma anche del fiore di zafferano di Navelli, di quello affilato della polpa del litchi e la fragranza delle “mele renette” di Prezza.
Nel bicchiere quasi vuoto, tra freschi effluvi bucciosi, rimangono i petali del mandorlo di Barisciano sparsi a terra nel loro letto bianco, iridescente, una scorza di limoni della Costa d’Amalfi grattugiata e impastata con la spuma del mare su una spiaggia escondida.
La vita è bella!
Azienda Agricola Di Cato
Via Colle della Fonte,14
Vittorito (AQ)