Ingredienti
4 ossi buchi di vacca di razza Varzese (da cui ricaveremo solo il midollo), 1 cipolla rossa (Breme o Tropea) di medie dimensioni, 300 gr di riso Carnaroli, 80 gr di Montebore stagionato almeno 4 mesi, 1 rapa rossa, 1 bicchiere di Pinot nero vinificato in bianco e 150 cl. circa di olio evo 100% italiano

Per il brodo di carne: 1 pezzo di biancostato di manzo, 1 osso di prosciutto crudo, una carota piccola, una cipolla di Breme di piccole dimensioni, 1 gambo di sedano, 1 filo d’olio evo 100% italiano e sale.

Preparazione

Mi metto la casacca da macellaio allacciata lateralmente, come quella del Pipìn Decàn (il maslè, macellaio, di Robbio Lomellina) che, per primo, mi ha insegnato i tagli della carne, ma, soprattutto, che non tutte le vacche sono uguali!
Stappo alla sua salute una boccia di Barbera Bricco dell’uccellone del 2009 di Braida.
Verso nel ballon il prezioso frutto liquido di uve Barbera d’Asti, scuro come la vecchia signora soprannominata l’uselùn (l’uccellone) perchè vestiva sempre di nero e che ha dato il nome a cotanto bricco, adagiato sull’amena collina di Rocchetta Tanaro.
Mentre porto alla bocca questo miracolo della natura e della mano dell’uomo, percepisco inequivocabilmente la liquirizia, il mirtillo, il lampone che si amalgamano con la polpa di frutta rossa in un insieme di grande morbidezza e classe.
Intanto guardo con ammirazione la forma di Montebore che ho sul tavolo da cucina che, più che ad un formaggio, con i suoi tre strati sovrapposti, assomiglia ad una torta nuziale.
È un prodotto raro e antico, la cui storia si fa risalire all’arte casearia dei monaci dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Vendersi, sul Giarolo, (il monte che forma le Valli Grue, Borbera e Curone), che lo producevano già nel IX secolo.
Nel 1489, a Tortona, si celebrarono le nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, nipote di Ludovico il Moro.
Cerimoniere era Leonardo Da Vinci, genio dell’arte e della scienza ma anche straordinario gastronomo che portò sulla nobile tavola proprio il Montebore del Giarolo.
Inserisco nel lettore il cd dei Pink Floyd, The Wall e alzo leggermente il volume appena attacca l’elicottero di “The Happiest Day Of Our Lies” e, risucchiato dalle pale di questa straordinaria musica, decollo verso la…

Esecuzione

Metto tutti gli ingredienti per il brodo in una pentola con circa due litri d’acqua oligominerale naturale e una manciata di sale. Mentre il brodo bolle preparo un soffritto grattugiando, con una grattugia fine, la cipolla fino a farne una specie di omogeneizzato (così si scioglierà completamente sui chicchi di Carnaroli) e lo metto in una padella di rame con olio evo 100% italiano e faccio rosolare finchè comincia a disfarsi crepitando e spargendo nell’aria il suo intenso ed inconfondibile profumo.
Verso il Carnaroli e con una marisa giro i chicchi facendoli amalgamare al soffritto e lasciandoli tostare appena appena. Sfumo con il Pinot nero e aggiungo il brodo caldo. Tolgo il midollo dagli ossi buchi aiutandomi con un cucchiaino e lo metto nel riso lasciando che si sciolga pian piano.
Nel frattempo frullo la rapa rossa che ho fatto bollire in precedenza. Metto dell’olio evo 100% italiano in un padellino con uno spicchio d’aglio e un cubetto di pancetta affumicata. Quando la pancetta si scioglie, l’aglio si è già imbiondito: li tolgo entrambi dal padellino e ci verso il frullato di rapa rossa. Abbasso il fuoco e lascio insaporire pian piano.
Porto a cottura senza mai smettere di girare il riso nella padella con la marisa e senza mai smettere di aggiungere brodo caldo perchè, alla fine, il risotto si deve presentare all’onda e guardandolo devi immaginarti in un puerto escondido, al tramonto, davanti  ad un mare calmo  con lo sciabordìo delle onde che ti cullano come fosse una musica che vorresti non finisse mai.
Mentre l’oro delle paludi si trasforma in cibo degli dei, taglio a pezzettini il Montebore e lo faccio sciogliere in una bastardella  a bagnomaria. Appena comincia a fondersi ci aggiungo la rapa stufata e amalgamo insieme fino ad ottenere un composto cremoso di un bel colore sanguigno che metto in un flacone di plastica con un cappuccio a spruzzo.
Ora verso i chicchi dorati in un piatto da portata e ci faccio colare sopra la crema di Montebore e rapa distribuendola in cerchi concentrici.

Vino abbinato: Provincia di Pavia IGT, Moscato secco,  Il Poggio di Alessi Roberto

 

Il Moscato Bianco è una delle uve più antiche del mondo. E’ l’Amathelion moscathon dei greci e l’ “uva apiana”  dei Romani (che attira le api). E’ giunto a noi grazie alla Repubblica Serenissima e ai suoi commerci. Insieme a Malvasia, Brachetto e Gewurztraminer, forma il gruppo dei vitigni “aromatici”, ovvero quelli che, dopo la fermentazione, mantengono i profumi primari/varietali tipici dell’uva da cui derivano. I vini ottenuti con i vitigni  aromatici sono riconoscibili per i profumi intensi e inequivocabili di fiori e frutta.
L’interpretazione più nota del Moscato è quella dolce e frizzante ma, in molte zone d’Italia, si ottengono anche grandi passiti e versioni ferme secche.
In Oltrepo Pavese, sulle colline di Volpara, esiste una zona particolarmente vocata per la produzione di Moscato, cui è stato dedicato anche un Tempio  che ha sede in un antico oratorio  del 1600 (sconsacrato nell’Ottocento).
Sono numerosi in questa zona i produttori di Moscato dolce e, tra questi, Roberto Alessi dell’Azienda Agricola il  Poggio,  che fa anche questa versione secca molto intrigante. La denominazione è Provincia di Pavia Moscato IGT: da uve Moscato Bianco provenienti da vigne dell’età media di 25 anni, ubicate nel Comune di Volpara.
La raccolta delle uve è fatta a mano, in cassette da 18 kg. e, una volta arrivate in cantina,  sono sottoposte ad una pressatura soffice per ricavare e fermentare solo il 45% del mosto fiore.
Il mosto, dopo decantazione naturale, fermenta in vasche inox termocondizionate. Il vino così ottenuto rimane  a contatto con i lieviti sino a primavera e la fermentazione malolattica viene inibita con il freddo.
L’imbottigliamento viene effettuato la primavera successiva alla vendemmia, affinando 6 mesi in bottiglia prima di essere messo in vendita.
Questo Moscato secco è un’innocente evasione, un ritorno al Tempo delle Mele e a Vic (Victoire) che indossa le cuffie per ascoltare Reality di Richard Sanderson.
Un vino, complice ammiccante, sorridente che sa di giovinezza e spensieratezza.
Al naso e in bocca ci sono tutte le sfumature del Moscato, sarebbe inutile reiterarle.
Dico solo che il colore è bello lucente e il mio naso, accalappiato da un mazzo di fiori di campo e da un canestro di frutti, diventa velluto.
In bocca spiccano le note varietali e rustiche, con la loro schiettezza, asciuttezza, freschezza.
E’ un bicchiere che ti chiede continuamente di essere portato al naso e in bocca e poi ancora al naso.
Un vino che va bene per quelli che di vino sanno già e per chi ha appena incominciato a bere.
Si sposa benissimo con la dolcezza della rapa pur se mitigata dalla sapidità del Montebore.
Il risotto è finito ma nel bicchiere è rimasta ancora un po’ di Moscato secco di Alessi che centellino, pensando al proverbio veneto che sentivo ripetere spesso da mio padre, che era di Taglio di Po: “El  bon vin, i schei e la bravura poco i dura”, ed io voglio farlo durare il più possibile, almeno fino a quando arriva il secondo.
Poggio Alessi
Via Poggio, 7, 27047 Volpara PV