Storie di campioni

Sono arrivati in trentaseimila, riempiendo gli spalti, nonostante la calura di un 12 agosto (2017) canicolare.
Per tutta la notte, gli addetti dello stadio del Bologna Footbal Club, dedicato a Renato Dall’Ara, mitico presidente morto d’infarto prima dello spareggio con l’Inter per lo scudetto (vinto dal Bologna) 1963/64, hanno irrigato il campo di gioco per rinfrescare il tappeto erboso su cui si sarebbero dati battaglia undici giocatori con la maglia rossoblù della prima squadra italiana a vincere un trofeo continentale (la Coppa dell’Europa Centrale, 1932) e undici con la maglia nerazzurra ovvero quella dell’unica squadra italiana mai retrocessa dalla serie A e anche la sola ad aver conquistato le tre competizioni principali disputate nel corso di un’unica stagione: Champions League, campionato e Coppa Italia e, coi successivi trionfi in Supercoppa italiana e Coppa del mondo per club FIFA, diventata anche la prima e unica squadra italiana a vincere cinque trofei nell’arco di un anno solare.
La sfida è tosta, i Felsinei sanno che sarà dura ma anche nel calcio ci sono le favole! Al minuto 32 del primo tempo, un giocatore col numero 9 sulla schiena, prende palla poco dopo il cerchio di centrocampo, semina in velocità due avversari, arriva davanti a Samir Handanovic, controlla con il destro, finta e insacca alle spalle del portiere dell’Inter.
“Il ragazzo di Broni! Il ragazzo di Broni! E’ un campione!” esplode di contentezza Cesare Corazza, sfegatato tifoso del Bologna e grande vignaiolo dei Colli Bolognesi,
detto Vasco Cesare per la sua somiglianza con un classe ’52 di Zocca (una vita spericolata, sempre in equilibrio sopra la follia).
Il ragazzo di Broni si chiama Simone Verdi, classe 1992 ed è venuto sotto le due Torri per fare quello che hanno fatto prima di lui altri calciatori del calibro di Roberto Mancini, Beppe Signori, Roberto Baggio o Marco Di Vaio: diventare un campione.
Le storie di vita dei campioni cominciano tutte più o meno allo stesso modo: c’è un bambino che passa le giornate a tirar calci ad un pallone in strada o su un campetto, fin quando la mamma non lo chiama perché ormai è buio ed è ora della cena.
Vasco Cesare sa che Simone non fa eccezione ma per lui il fatto che sia nato a Broni ha una valenza in più perché a Broni (piccolo paesino dell’Oltrepo Pavese, terzo areale vitivinicolo per estensione in Italia), è nato e vive un altro grande campione che di nome fa Lino Maga, 86 anni e 80 vendemmie sulle spalle, che hanno dato vini spettacolari come gol in rovesciata all’incrocio dei pali!
Cesare conosce la storia tribolata che per 22 anni ha portato questo profeta del vino nelle aule di tribunale a difendere il suo Barbacarlo ma, grazie ai suoi amici di vite e di vita, Walter Massa e Andrea Picchioni, ha la fortuna di andare a Broni a conoscerlo di persona e restarne folgorato.

 

Cesare con walter Massa e Andrea Picchioni

 

Quando incontra Lino Maga, la sua visione del vino ce l’ha già chiara in testa, con tutte le luci e le ombre di ogni idea non convenzionale ma il grande vecchio lo rassicura e lo incoraggia ad andare avanti nel solco tracciato, senza ripensamenti: “Io sono un combattente, ho lottato sempre e lotterò fino alla fine, tutti dovrebbero lottare per ciò in cui credono

 

Cesare tra Giuse e Lino Maga

Cesare è un uomo libero che si è smarcato dal sistema perverso che ti omologa ai robot dell’industria e ha l’animo umile del fanciullino ma tanta fierezza da mitigare la grande tristezza del mondo contadino.
I suoi occhi profondi, penetranti, brillano d’incoraggianti sorrisi che ti invitano a seguirli su territori selvaggi, incontaminati, puri, che poi altro non sono che quello che lui chiama “il mio territorio”, mettendosi la mano sul cuore.
In questo territorio di magra terra rossa, insistono i 60 ettari della sua Azienda (Lodi Corazza), di cui 18 compresi nella DOC Colli Bolognesi destinati a vigneto e il resto alla produzione di frumento, granoturco e sorgo.
Un’Azienda e una famiglia che, dal ‘700, lavora la terra e proprio dalla terra e dalla vigna Cesare comincia la sua personale rivoluzione: rispetto e cura delle viti, diserbi meccanici con ripetuti sfalci, diradamenti dei tralci a frutto e diradamenti nel periodo di invaiatura, vendemmie manuali (e selezione e lavorazione delle uve fresche nell’arco delle 2/3 ore successive al loro distacco), valorizzazione delle antiche cultivar, mantenimento dei vigneti originari e rigenerazione di quelli più vecchi per tenere viva la storia e la cultura del territorio.
E in cantina massima funzionalità e qualità delle tecnologie, solo ed esclusivamente quelle che servono alla trasformazione dell’uva in vino, perché il vino non si fa, si ottiene, come dice il suo amico Walter Massa.
Tutto quel che guadagna lo reinveste nell’Azienda e se talvolta gli investimenti sono rischiosi, non importa, va avanti con la caparbietà propria di chi sa di essere nel giusto.
Crede fortemente nel Pignoletto, (Grechetto Gentile, i vigneti di questo vitigno, sono dedicati alla Mamma) fin dalla prima ora, spesso correndo da solo nella direzione contraria alla massa dei suoi colleghi, sapendo che “difficile non è andare contro la corrente ma salire nel cielo e non trovarci niente”, come in “Lindbergh”, di Ivano Fossati.
Il Pignoletto era una zona buia nel cielo dei Colli Bolognesi e lui è uno di quelli che, con l’aiuto di collaboratori come Sergio Parmeggiani, Giovanni Colugnati e Roberto Zironi, accende la luce.
I suoi Pignoletto non vengono solo da un terroir determinante o dal rispetto della materia trattata ma soprattutto da una coscienza fatta di ben lavorare e fare, in armonia con sé stessi e con la natura, per restituirla inalterata ai suoi figli, perché l’amore per la terra, può aiutare a vivere e a far vivere meglio.
Sono vini caparbi, caldi, densi, genuini, leggiadri, luminosi e per la loro freschezza e potenza, concentrazione e levità, eleganza e finezza sono dei campioni tali quali il ragazzo di Broni, che fa esultare il tifoso coll’estrosità dei suoi tocchi.
Come Zigant, un Pignoletto Superiore di grande eleganza e corpo che, per la sua struttura e tipicità, può essere paragonato al Nettuno di piazza Maggiore, appunto il “Zigant” dei Bolognesi, capace di invecchiare con la personalità del gigante col suo tridente di acidità, mineralità, fruttuosità.
O come il suo Pignoletto frizzante “Vènti” (con un minimo di 12 mesi sui lieviti) o il Pignoletto frizzante DOC o il Metodo Classico 1877 (anno di fondazione dell’Azienda), uno spumante millesimato (minimo 24 mesi sui lieviti) fatto con Grechetto e Barbera vinificata in bianco e tutto l’amore per la tradizione, la forza e la cultura di una lavorazione antica.
Quando apri una di queste champagnotte (circa 1000 all’anno) rimani colpito dall’irrequietezza ed esuberanza tipiche del suo fautore, dal lievito, dalla pasta di pane, dalla fragranza delle spighe di frumento e delle spadici di mais che fioriscono nei terreni confinanti coi filari di Grechetto Gentile ma anche dalla brezza che accarezza i Colli Bolognesi che a volte si fa vento e gonfia le vesti della Maddalena straziata dal dolore per il Cristo esanime ai suoi piedi, nel compianto di Niccolò dall’Arca, in Santa Maria della Vita.
Cesare è un contadino che ha capito, prima di altri, che il mondo sta prendendo una brutta piega, perché troppa gente sta abbandonando la terra.
Lui è uno che cerca di difenderla e auspica che si ritorni a rispettarla e curarla: solo così si possono ottenere prodotti come i suoi, per cui valga la pena di lottare, soffrire, sbattersi, affrontare la propria missione, il proprio lavoro, la vita, spronati dall’orgoglio di “mandare” in giro per il mondo messaggi enologici di alta originalità e qualità gratificati dalla semplice e naturale soddisfazione di contribuire a rafforzare, o far conoscere il proprio territorio, il borgo, la valle, il piccolo grande mondo, ove son radicate le proprie vigne, la propria cultura e coltivazioni.

Cesare e sua sorella Silvia

Gente come Cesare (e sua sorella Silvia, che non vuole mai apparire ma che senza di lei Lodi Corazza non esisterebbe perché, oltre a lavorare in cantina tutti i giorni, segue tutta la burocrazia e le beghe esterne) può veramente fare Bologna più buona, l’Italia più bella e un mondo migliore come direbbe il suo amico Vasco.

 

Lodi Corazza
Via Risorgimento, 223
Ponte Ronca, Zola Predosa (BO)