Taormina Gourmet, lunedì 28 ottobre 2019, Hotel Diodoro: masterclass di Buttafuoco DOC dal titolo “Buttafuoco, una DOC tutta da scoprire” con 3 grandi produttori dell’Oltrepo Pavese, Andrea Picchioni, Fabio Marazzi della Cantina Scuropasso e Giulio Fiamberti dell’Azienda Agricola Fiamberti (anche in rappresentanza dell’Associazione Club del Buttafuoco, di cui è stato presidente sino al 2018).
Il Buttafuoco si ottiene tradizionalmente dalla vinificazione congiunta dei vitigni Croatina (quella più caratterizzante, molto ricca in estratti e polifenoli che, pur essendo estremamente malleabile, permette sia di fare vini freschi e molto fruttati o vini con macerazioni più lunghe o estrazioni maggiori di tannini e maggiori gradazioni alcoliche. Ne deriva una piacevole rotondità e la tipica cadenza olfattiva fruttata capace di evolversi col tempo verso profumi terziari speziati molto diversi dai profumi iniziali), Barbera, Ughetta di Canneto detta anche Vespolina e Uva Rara (ma quest’ultima non è presente nel Buttafuoco di Andrea Picchioni), coltivati su versanti ben esposti e spesso molto ripidi, in una ristretta area collinare dell’Oltrepo Pavese orientale che comprende sette comuni: CannetoPavese, Castana, Montescano, Cigognola, Pietra dè Giorgi, Broni e Stradella.
La zona di produzione è lo sperone di Stradella, un crinale spartiacque tra i torrenti Scuropasso e Versa, che si trova nella prima fascia collinare dell’Oltrepo Pavese con un’altitudine che va dagli 80 ai 350 metri s.l.m. .
Un promontorio che rappresenta la punta più avanzata a nord della catena dell’Appennino e si protende come una penisola nella Pianura Padana, fino a lambire il Po.
Alla base del crinale c’è la Stretta di Stradella che storicamente è stato un punto di passaggio obbligato, forse uno dei più importanti di tutta Europa, per le popolazioni che dovevano spostarsi da Nord a Sud e da Est a Ovest e viceversa.
Si passava dalla Stretta, perché la Pianura Padana era una palude e le montagne appenniniche, ostili, a causa delle fiere che le popolavano (orsi, lupi ecc.).
Un territorio attraversato da una moltitudine di pellegrini che camminavano sulle grandi vie della fede come la Francigena e il cammino di San Colombano o la Postumia.
L’altra via d’intenso traffico era quella Nord/Sud, la via dei Longobardi, che da Bobbio andava a Pontremoli e poi in Centro Italia e passava esattamente sul crinale di Stradella, ove adesso ci sono le vigne del Buttafuoco.
Un mosaico di vigne, prati, coltivi e boschi, un territorio d’eccellenza che garantisce alle viti di godere di un’esposizione giornaliera molto intensa e di correnti durante le ore notturne per consentire una maturazione completa e graduale dei grappoli.
È una sottozona in grado di dare una base enologica di peculiarità uniche, con una caratterizzazione climatica e geologica molto particolare.
Vi sono presenti una decina di matrici geologiche diverse: terreni sabbiosi, o su matrice gessosa-solfita, altri ancora su matrice sedimentaria marina di tipo conglomerato, ma anche argille e marne: una concrezione che va formare la collina come una torta a strati.
Su questi terreni le radici delle viti si spingono fino a dieci metri di profondità e oltre garantendosi un’autonomia idrica anche nelle stagioni calde.
Il cuore di questa zona è Canneto Pavese, dove i terreni in prevalenza hanno una tessitura di ghiaia, sabbia e argilla e dove i vini sono caratterizzati da una spiccata nota di balsamico.
Il nome di Canneto Pavese è inseparabilmente legato al vino (e a questo vino: il Buttafuoco, nel ‘900, è prodotto solo qui) in quanto, fino a pochi anni fa, era il comune italiano con la maggior superficie vitata in rapporto alla sua area territoriale.
“Talmente vocato”, sostiene Giulio Fiamberti “da cambiare il suo nome da Montù de Gabbi a Canneto Pavese, perché il vino che vi si faceva era il vino del canneto ovvero della canne (i pali) piantate nel terreno per ottenere dei filari e non lasciando crescere la vite come pianta che si arrampicava sugli alberi, prevalentemente da frutto. Quindi strettissimo legame tra la produzione di uva (e di vino) e il territorio. Qui tutti avevano le proprie vigne e l’orto di famiglia si sviluppava tra i filari”.
Andrea Picchioni sostiene che la DOC Buttafuoco “è quella veramente legata al territorio, al contrario delle altre DOC Oltrepo Pavese che sono legate al vitigno. Il vitigno può essere ovunque e quindi non è legato al territorio: i Francesi dicono Chablit e non Chardonnay rivendicando l’identità territoriale. Quando si parla di Buttafuoco si parla esclusivamente di Oltrepo Pavese perché il Buttafuoco si fa solo qui”.
Il Buttafuoco ha una storia consolidata. E’ ancora Andrea Picchioni a ricordare che “a metà dell’ ‘800 Napoleone terzo classifica le zone vitivinicole francesi e Staglieno fa il protocollo di vinificazione del Barolo come riportato da Berta e Mainardi in Piemonte – Storia regionale della vite e del vino, riferendosi alle cantine del castello di Grinzane Cavour. Nello stesso periodo si comincia a parlare di Buttafuoco e, nei primi anni del Novecento, il professor Arturo Marescalchi, esperto ampelografo, nella sua monografia sui vini tipici d’Italia, inserisce il Buttafuoco fra i migliori vini rossi d’Italia”.
Attualmente gli ettari vitati sono circa trecento e una trentina le aziende che imbottigliano (oltre ad una ventina di conferitori) per una produzione che si aggira intorno alle 370mila bottiglie.
La “filosofia produttiva” come sostiene Fabio Marazzi , “è quella di ottenere un vino con un buon affinamento ed una lunga evoluzione, per poter godere di tutte le espressioni della vigna”.
Per dare ancora più valore al Buttafuoco, nasce (il 7 febbraio 1996) l’Associazione Club Buttafuoco Storico, con un disciplinare di produzione decisamente superiore alla DOC che prevede due commissioni (una di campagna e una di cantina).
I produttori dell’Associazione Club del Buttafuoco Storico, attualmente 15, iscrivono una singola vigna (cru) con una produzione massima per ceppo stabilita dai dettami del Club e una data di possibilità di vendemmia basata sul raggiungimento della media maturativa delle 4 uve.
La commissione di cantina assaggia poi i prodotti ogni anno d’invecchiamento verificandone la conformità al disciplinare.
L’invecchiamento minimo è di due anni ma la tendenza di quasi tutti gli associati è di arrivare a tre. Solo così aggiunge Giulio Fiamberti “il Buttafuoco può essere il grande vino rosso, il grande vino bandiera dell’Oltrepo Pavese”.
Per poter vinificare congiuntamente 4 uve diverse in varietà e maturazione ci vuole molta maestria ed esperienza.
Prima di tutto l’impianto della vigna deve essere pensato per far raggiungere ad ogni uva il livello di maturazione adeguato: “I vitigni e portinnesti vengono messi, all’interno del vigneto, nelle aree più adatte. Per esempio la Vespolina che è la più precoce, si può piantare nella parte più fredda della vigna in modo da ritardarne la maturazione (Giulio Fiamberti)”.
“Poi c’è l’esperienza del vignaiolo-potatore che deve trattare la pianta secondo la potenza o la capacità della stessa di gestire il proprio carico produttivo sino al giusto equilibrio di maturazione (Fabio Marazzi)”.
I vini in degustazione sono stati mirabilmente raccontati da Giuseppe Zatti da Castana, detto Beppe, enologo che collabora con Andrea Picchioni, Giulio Fiamberti e Fabio Marazzi (ma vanta collaborazioni anche nella zona del Gattinara, del Barolo, dei Ronchi Varesini e in Toscana).
Di seguito la sua descrizione.
Buttafuoco Bricco Riva Bianca 2016.
Siamo in località Solinga. Il terreno è uno stratificato (dai 5 ai 20 metri) di conglomerati (tessitura grossa, di ciotoli, sassi su una matrice calcarea dura, quasi marmorea), arenarie (sabbia concrezionata da calcare) e marne (matrice molto più fine, argillosa concrezionata da calcare).
Versante est-ovest, si affaccia a sud della Val Solinga dove il sole batte dalla mattina presto alla sera tardi.
Spezie riconoscibili con un sottofondo di frutta ampio e intenso. È un vino con una gradazione elevata anche perché le uve sono lasciate maturare a lungo così i tannini diventano morbidi. L’impatto è caldo, ampio, ricco. Si sente una tannicità viva che darà molta longevità al vino. L’acidità elevata gli conferisce verticalità e il contributo di queste componenti molto ricche, favorisce la persistenza in bocca che si esprime in più codici: il frutto lascia il passo alle speziature e c’è una sensazione sapida, amarognola nel contributo della parte più vegetale del tannino. Vino giovane che promette molto.
Buttafuoco Vigna Sacca del Prete 2015.
Zona di Canneto Pavese. Il terreno è a tessitura mista: strato sabbioso derivante dalle arenarie e argille molto compatte.
La vigna con esposizione sud-sud/ovest è piuttosto ripida (Giulio Fiamberti: “E’ stata l’ultima impiantata da mio nonno, nel ’97, l’anno in cui è morto e non ha potuto vederne i frutti “).
Deciso il contributo del legno (botti di 5 ettolitri).
E’ un vino che si può considerare già fatto, con spalla di notevole struttura, colore rubino brillante intenso. Al naso arriva sia il fruttato che la nota balsamica.
Le note “fruttamiche” si alternano e si susseguono fino alla sovrasaturazione olfattiva. Il contributo dell’alcol è elevato. Al gusto c’è la nota calda data dalla Barbera che qui è fondamentale nel bilanciare la tendenza acida e tannica degli altri vitigni e renderli più morbidi.
Grande persistenza in bocca che rimane pulita e con marcate note sapide.
La caratteristica che maggiormente lo contraddistingue è la presenza di note balsamiche.
Buttafuoco Storico I Vignaioli del Buttafuoco Storico 2015
Deriva dal taglio o assemblaggio dei vini Buttafuoco Storico prodotti da tutti i membri dell’Associazione. Dall’espressione di vigneto all’espressione di gruppo.
È un vino già pronto e comunicativo. Si sente il contributo del legno e la presenza di sentori terziari.
Pronto al naso con una bella espressione di spezie orientali. Fine, di struttura, bevibilità, grado di evoluzione e persistenza lunga con un richiamo alla beva e un ritorno leggermente amarognolo (liquirizia).
Buttafuoco Lunapiena 2013 di Cantine Scuropasso
La vigna è di Pietra dè Giorgi, nella zona delle arenarie che si estende da Montescano a Canneto Pavese, ad un altitudine di 250 mt., esposta a sud-sud/ovest.
Annata con parecchie perturbazioni che hanno abbassato le temperature (e le rese) anche nella fase di formazione dell’acino (nell’acino grande come un grano di pepe è già caratterizzato il patrimonio aromatico del vino a 6 anni di distanza).
Ben presente la componente fruttata (con prevalenza di ciliegia) e floreale.
Note balsamiche e mentolate, spezie dolci, spezie orientali, chiodi di garofano e cacao (i contenitori sono tonneau di 5/6 ettolitri in cui il vino affina da 18 a 24 mesi). In bocca, tannino croccante, vivo, struttura, acidità e grande persistenza.
Queste florealità fresche, come il garofano, sono figlie di alcune perturbazioni del giugno 2013. Persistenza in bocca e salivazione lunghe.
Buttafuoco Bricco Riva Bianca 2012,
Si sente il frutto maturo che evolve verso la frutta secca, la nocciola, la mandorla (ammandorlato, come venivano definiti i vini di questa zona). Poi spezie e pasticceria.
In bocca ricchezza, struttura, carattere ed eleganza. Si sente ancora l’acidità, la freschezza e un tannino soffice, vellutato.
Grassezza e lunga persistenza: già molto comunicativo, promette molto anche in prospettiva.
Buttafuoco Storico Vigna Sacca del Prete 2012
Note importanti di frutta matura grazie all’annata molto calda, bilanciate sapientemente dall’acidità della Barbera.
Speziatura elegante e azzeccato contributo del legno (botti di rovere francese di 5 ettolitri).
Di notevole possibilità evolutiva (grazie alla notevole freschezza declinata sul frutto e sul legno) in termini non solo di durata ma soprattutto di arricchimento e complessità.
In bocca si ritrova la presenza di note molto fresche e l’impalcatura è ben strutturata.
Buttafuoco Storico I Vignaioli del Buttafuoco Storico 2012
Note di legno, cuoio, tabacco, mandorla. Pronto ed evoluto: (tra i produttori c’è chi ha vigneti che sono pronti prima).
Si sente meno il frutto e più il terziario.
L’assaggio conferma la prontezza del vino e la sua evoluzione.Si avvertono bene le speziature e ritorna il cuoio, la frutta secca.
L’acidità è bassa.
Buttafuoco Lunapiena 2012 di Cantine Scuropasso
Viene fuori prepotente la caratterizzazione del cru, il lavoro fatto per ottenere il risultato della ricetta che mette insieme tutte le variabili dei vitigni ma anche del clima, biologiche, del territorio nonché le varianti antropologiche.
C’è una buona espressione olfattiva, un ottimo equilibrio tra la personalità del vino, il frutto, le spezie, l’evoluzione e il contributo del legno.
In bocca risponde a quanto promesso all’analisi olfattiva: elegante, di moderata acidità e buona freschezza.
Lievemente tannico, di un tannino che suggerisce di mettere da parte un po’ di bottiglie da aprire tra qualche anno, per le grandi occasioni, perché saprà affinarsi e raggiungere uno dei traguardi principali che questo vino sa offrire, ovvero l’effetto cremosità che si ha quando l’astringenza diventa morbida, setosa.
Dell’Oltrepo Pavese, i nomi sono innumerevoli (…). I rossi, di regola, sono densi, spessi, spumosi, quasi dolci al primo assaggio, ma poi rivelatori di un fondo gradevolmente amarognolo che, sul posto, chiamano “ammandorlato” o“mandorlato”. Uno di questi vini è il Barbacarlo, un altro è il Sangue di Giuda, un altro ancora è il Buttafuoco.”
Sono parole di Mario Soldati, in Vino al vino (Oscar Mondadori, pag. 120) che, meglio di ogni altre, sintetizzano con la consueta maestria, le caratteristiche precipue di un vino.
La scorsa edizione di Taormina Gourmet si è conclusa con una masterclass sul Barbacarlo e quest’anno con una masterclass sul Buttafuoco.
L’Oltrepo Pavese c’è!