Walter Massa è il padre putativo del Timorasso, pioniere della scoperta di questo vitigno: quando pensi al Timorasso pensi a Walter Massa e viceversa.
È forse l’unico caso al mondo di antropovinizzazione, cioè di perfetta identificazione di un uomo con un vino.
Ed è anche artefice del rilancio di un intero territorio: i Colli Tortonesi.
La sua è un rivoluzione colturale e culturale insieme, perché come dice lui il vino è cultura.
E’ una bella mattina di un’altrettanto bella domenica primaverile e parto da Pavia per andare a conoscerlo di persona.
Mentre il sole delle Valli Tortonesi comincia a scaldare le mie padane membra, da lontano appaiono le vigne di Monleale: Barbera, Croatina, Cortese ma, soprattutto, Timorasso.
In questi circa 200 ettari di vigneto, insistono i 25 ettari dei Vigneti Massa, sorgente radicale da cui Walter attinge le uve per portare nel bicchiere dell’appassionato di tutti i continenti, gli umori suoi, della sua terra e della cultura che gli appartiene.
La strada che da Volpedo porta a Monleale Alto, dove c’è la cantina e, nel raggio di 1500 metri, le vigne dei Vigneti Massa, ha delle curve così belle che da appassionato dueruotista , mi pento di non essere venuto fin qui con la mia Vespa.
Per consolarmi parzialmente, abbasso i vetri dell’abitacolo per respirare a pieni polmoni i pollini di queste valli e sentire l’odore della terra che si sparge nell’aria in una sinfonia senza fine.
L’Azienda di Walter è immersa nel territorio e nelle sue problematiche, ma sono i vigneti ad esserne il comune denominatore.
L’Azienda è condotta in maniera artigianale. A coadiuvarlo nella conduzione dell’Azienda, oltre a 7 collaboratori fissi, ci sono mamma e sorella, ma soprattutto i due nipoti gemelli Filippo e Edoardo, che amano aiutare a “giocare” lo zio.
È cosi, con talento e passione, che si dovrebbe sviluppare il mondo, ossia, con la nuova generazione che sta crescendo!
Dai 25 ettari di vigneti vengono prodotte annualmente circa 120.000 bottiglie, divise su 10 etichette, di cui ben 4 vini bianchi, ottenuti al 100% da uve Timorasso.
La cantina è proprio all’ingresso del paese e, a pochi passi dalla piazza, li, fuori, ad aspettarmi c’è un personaggio corpulento a piedi scalzi, con una tuta da metalmeccanico e un fazzoletto rosso al collo, vagamente somigliante ad Obelix, il personaggio coprotagonista della serie Asterix. Ha dei basettoni neoclassici, alla Vincenzo Monti o Ugo Foscolo.
Si presenta come PiGi ma scoprirò poi che viene soprannominato giocosamente “Zoccolo”, perché non porta mai le scarpe né d’estate, né d’inverno. (Monleale sta diventando sempre più il paese delle sorprese e delle conferme: se Walter è considerato il Don Chisciotte del vino italiano, come potrebbe esser tale senza il suo Sancho Panza?).
Walter mi dirà poi che è la sua “badante”, perché non lo abbandona mai nei suoi viaggi in giro per l’Italia o per il mondo ed è sempre presente quando ha degli ospiti in casa o delle degustazioni, o è fuori a pranzo o a cena.
Ha, in una mano, un salame di circa mezzo metro di lunghezza che emana un profumo di buono già a considerevole distanza e, nell’altra, il suo bicchiere personale per il vino (“Riedel”), che è un vero attrezzo di grande raffinatezza.
Parla una lingua strana, intercalando una serie impressionante di “chimò” e “lamò”, con i quali cerca di chiarire i suoi concetti che, sulle prime, paiono bizzarri ma ti sorprendono perché celano sapienti insegnamenti.
Per lui io sono forestiero, è la prima volta che mi vede, ed è un po’ diffidente tant’è che, attaccando discorso, esordisce con un: “Voi Italiani…”.
La sua anima sensibile si rivela però subito, dietro la crosta grinzosa e scabra, mostrandomi la sua natura di contadino mentre parla dei suoi salami fatti come una volta, come fossero l’ultimo baluardo da difendere insieme a molti altri prodotti della terra destinati a soccombere sotto i colpi della globalizzazione.
Mi fa entrare in casa e poi va difilato in cucina, ovvero il regno della mamma di Walter, cui ha affidato la cura del suo personale tagliere e ritorna poco dopo con l’intero salame trasformato in fette, tagliate molto spesse.
Io le guardo con ammirazione ma, forse, mi soffermo un po’ troppo a lungo a guardarle, tant’è che PiGi sbotta: “La fetta del salame deve stare in piedi. Voi Italiani non sapete neanche come si fa a tagliare un salame”.
In quel mentre appare (nel vero senso della parola), Walter Massa.
Ho letto molti articoli che parlano di lui e so che è un tipo schietto, che bada molto al sodo, caparbio ma pronto a rimettersi in discussione, anticonformista estremo, imprevedibile, appassionato, generoso, sornione, istrionico ed è un vignaiolo eccentrico, inquieto e geniale ma, adesso che lo vedo di persona, mi accorgo che del vignaiolo non ha, né la faccia, né il portamento.
Ha già sessant’anni suonati ma non lo diresti mai perché ne dimostra non più di cinquanta.
È un Sagittario (è nato il 6 dicembre 1955), orgogliosamente legato alla sua terra. Condividiamo insieme la stima e la passione per un grande vignaiolo dell’Oltrepo Pavese, Lino Maga, il Signor Barbacarlo, che lui considera un “Faro” del “Nuovo Pianeta Vino Italia”.
Walter dice che non smetterà mai di riconoscere nei sacrifici di quest’uomo la chiave di svolta a livello nazionale del sistema vino e nella sua cocciutaggine, onestà, lealtà, cultura, il punto cardine da cui si è spalancata la strada rurale al “MADE IN ITALY”.
Il padre del Timorasso, con un grande sorriso sulle labbra, stappa una bottiglia di Sterpi, uno dei suoi cru più blasonati e ne versa nei bicchieri una generosa dose, tanto da farmi raggiungere subito livelli degustativi elevati.
Walter capisce che ambisco ad una nuova dose di Sterpi ma lui ha già pronto un altro dei suoi capolavori: il Costa del Vento del 2003.
Riguardo la bottiglia per rileggere la data: è proprio del 2003. Com’è possibile? Un vino bianco così longevo? Qui non siamo nel cuore della Borgogna, e questo non è un Mersault!
Sono sconcertato ed insieme estasiato.
Porto il bicchiere al naso e lascio che le mie nari si impregnino dei preziosi aromi, fini e raffinati. In bocca, il Costa, accarezza le papille e la piacevolezza al palato si amplifica.
Walter mi fa cenno di seguirlo e lo seguo su un terrazzo da cui mi mostra le vigne.
Uno scorcio dal quale s’intravede un anfiteatro naturale che si snoda sinuoso sotto gli occhi.
Da lì mi racconta di essere nato in mezzo a queste vigne, nei Colli Tortonesi, che erano vitati per circa 8000 ettari, contro i poco più di 2000 di oggi.
Una terra talmente ricca di uva, sia a bacca bianca che nera, da far diventare Tortona e il suo mercato, uno dei poli più importanti per il vino in Italia, fino all’arrivo della fillossera quando, anche i Colli Tortonesi hanno subito un contraccolpo economico che ha portato a sradicare le vigne per piantare alberi da frutto.
E qui scorgo la prima velatura sui suoi occhi che ridono ma è solo una rapsodia perché si ravviva subito, rivelandomi che lui invece ha sempre creduto nella vite, storicamente affiancata ad alberi di pesche, con i quali la sua famiglia e i suoi parenti avevano fondato il proprio benessere economico (“Cùn i pùmm e i pèrsi, i mè parènt j’an fai sù ‘l condominio”).
Il grande salto alla Fosbury, all’indietro ma che ha dato una grande spinta in avanti a questo territorio, coincide con l’intuizione di Walter di sradicare alberi da frutto per piantare vigne di Timorasso.
Poi mi racconta di storie vissute tra queste vigne, di passione, dedizione, sofferenza, gioia.
Le parole gli escono dalle labbra come un vortice e l’ascolto quasi incantato.
Walter poi mi indica un pezzo di terra che ha appena comprato e che contribuisce a portare a circa sei ettari la sua proprietà in questa parte di Valle.
Auspica che il suo lavoro seduca marchi etici ed affermati a credere in questo territorio, in questa uva, il Timorasso, per regalare al mondo una giusta dose di Derthona.
Non è solo un grande vignaiolo, è anche il grande Deus ex machina dei Colli Tortonesi!
E ritorniamo sui nostri passi entrando nuovamente in casa.
Qui stappa un Montecitorio 2012, che mi conquista subito, al primo sorso.
Forse, accorgendosi del mio apparente appagamento, interviene prontamente parlandomi di diradamenti in vigna, diraspature, maturazioni su fecce nobili, utilizzo dei solfiti pari a zero nella vinificazione e conclude affermando:“Qualcuno potrebbe dire che la mineralità nei vini bianchi oggi è di moda. Io non l’ho cercata, ma solo trovata. Il vino è sempre frutto di un’interazione terra/uomo/vitigno. Ho assecondato le doti del vitigno, valorizzando il terroir. Se il Timorasso crescesse in Francia, sarebbe un oggetto di culto, come avviene per altre rarità enologiche”.
Mi offre i vari cru nelle varie annate e, mentre degustiamo, lui parla animatamente dei suoi vini dicendo che esistono due agricolture: “Una per far sopravvivere la gente e l’altra per farla godere” ed aggiunge: “Io ho deciso che volevo far godere la gente. Diversamente sarei fallito, sia intellettualmente che economicamente”.
Da qui Walter è partito per inseguire un sogno, magari disordinatamente e senza un progetto preciso ma fortemente motivato, con la sua grinta, la sua tenacia, il suo sorriso.
Mentre la passione di Walter per il suo lavoro, il suo sogno, comincia a contagiarmi, ecco che improvvisamente cambia registro e si mette a parlare di musica e lo fa incominciando da Vasco Rossi da Zocca, provincia di Modena, classe 1952.
Recita a memoria una strofa di una delle sue canzoni più famose, Sally: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia …”, sostenendo che è così anche il vino: “tutto un equilibrio sopra la follia”.
E poi cita Francesco Guccini e la sua autobiografia musicale, “L’avvelenata”, cui ha persino dedicato un’etichetta del suo Freisa.
Intanto stappa l’ennesima bottiglia: un Martin prodotto in collaborazione con Franco Martinetti, un Piemontese che tratta le uve Timorasso come fossero Nebbiolo, ottenendo un risultato strepitoso.
All’assaggio sento che la mia gola, già irrorata dai nettari derthoniani, sterpiani ecc., si scompiglia e sono consapevole che, d’ora innanzi avrò una dipendenza in più da soddisfare.
Ma la cosa non mi turba anzi, d’un tratto, la vita mi sembra ancora più bella.
Il mio cuore è gonfio di violini che, tutti insieme, suonano la Rapsody in Blue di Gershwin il quale, se fosse stato su queste colline, l’avrebbe chiamata Timorapsody.
Poi il discorso, anzi il monologo di Walter, spazia dalla storia, alla poesia, alla politica, per sfociare al motocross: “Erano i tempi in cui Tenco cantava Ciao amore ciao e non avevo alcuna intenzione di chiudermi in qualche ufficio. Per dieci anni ho cercato di placare i miei bollenti spiriti correndo in moto”.
Si accorge che ho ancora sete e allora apre l’ennesima bottiglia, un Costa del vento 2006.
È un vino sontuoso, ricco, elegante! I profumi di frutta secca, mela matura, fiori, miele, acacia, nespola, cedro, sgomitano per arrivare per primi a deliziarmi e in bocca è lungo, persistente, sapido con un finale leggermente amarognolo.
Se è vero che il vino fa sangue, questo fa un sangue prodigioso!
Walter sembra avermi letto nel pensiero e dice: “Io punto ad avere una grande uva, poi l’uva fa il suo percorso. L’uomo ha inventato tutto, dal bronzo, all’orologio, al navigatore satellitare, ma il vino no, è un prodotto della natura. Certo la differenza la fa la nostra sensibilità in cantina. Ci vuole solo buon senso e pazienza per l’attesa che il tempo faccia la sua parte”.
È l‘ennesima conferma che il vino nasce in cantina, ma la qualità la ottieni in vigna.
È un vino che fa sognare e, ancora una volta, Walter legge mi legge nel pensiero ed esclama: “Se il Costa del vento fosse una canzone sarebbe un brano di “Cyrano”, di Guccini, dove dice ‘ io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna…’ ”.
La sua etica di vitivinicoltore lo porta a distinguersi nettamente dalla vitienologia praticata dai grandi produttori di vino e sostiene: “Mi sento più collega di un mastro birraio, di un casaro di malga fuorilegge che di un produttore industriale di vino”.
Non a caso una sua botte si trova a Bruxelles, presso la fabbrica di birra fondata nel 1900 da Paul Cantillon, destinata a ospitare lambic ma ci sono anche sue barrique presso il Birrificio Montegioco di Montegioco e questo fa di Walter un mito anche fra i mastri birrai.
Starei ancora ore a farmi incantare da quest’uomo e dai suoi vini ma devo lasciare spazio ad altri pellegrini che scalpitano per entrare nel santuario.
A valle mi aspetta il Po, il grande padre ubriacone, come lo chiamava affettuosamente ma rispettosamente Gioàn, per il suo corso zigzagante, simile alla camminata di un ebbro e già so che ancor prima di arrivare sulle sue sponde comincerà a mancarmi questo vignaiolo, questo artigiano, questo contadino, il cui mestiere è legare insieme con passione il territorio, la vigna, il vino e chi lo beve.
E’ stato massa stupendo condividere con Walter momenti che colavano di vita.
Massa ha deciso di fare il vino non per far sopravvivere la gente ma per farla godere. E io ho goduto. Massa!!
Vigneti Massa
P.za Capsoni, 10 Monleale (AL)