BUTTAFUOCO STORICO VIGNA PREGANA dell’AZIENDA AGRICOLA QUAQUARINI FRANCESCO S.S.

La Vigna Pregana, sul punto più alto, con l’ippocastano al centro

 

L’Azienda Agricola Quaquarini Francesco S.S., di Quaquarini Umberto e Maria Teresa, è una realtà a conduzione famigliare che produce vini della tradizione locale di alto livello e genuinità, tra cui il Buttafuoco Storico che deriva dalla Vigna Pregana.
La vigna è esposta a Sud-Ovest, proprio al centro della zona del Buttafuoco Storico e si estende per 1,5 ettari tra i Comuni di Castana, Montescano e Canneto Pavese, ad un’altitudine di 280 metri s.l.m. ma solo mezzo ettaro, nel versante di Canneto Pavese, area Arenarie, è dedicato al Buttafuoco Storico, con uvaggio di Croatina 55%, Barbera 30%, Ughetta di Canneto 15%.
Il terreno è limoso, mediamente plastico a reazione alcalina, povero in sostanza organica, calcareo.
L’Azienda, a produzione biologica certificata dal 2003, dopo la morte di Francesco, nel dicembre 2024, all’età di 91 anni,  è guidata dai figli Maria Teresa e Umberto.
Le vigne sono protette da boschi, balze e prati incolti e il frutto che ne deriva è puro, proprio grazie alle condizioni naturali in cui nasce e cresce.
La filosofia aziendale trae origine da un pensiero consapevole, alla base del quale c’è la coscienza del Produttore e il suo rapporto con la natura.
Umberto, terza generazione di una famiglia di viticoltori e una laurea presso l’Università di Viticoltura e Enologia di Torino, sede di Alba, si prende cura della vigna e della cantina.

Maria Teresa con il Buttafuoco Vigna Pregana

Maria Teresa si occupa del marketing, della distribuzione e coordina la rete commerciale.
Cura anche la realizzazione delle etichette e l’immagine aziendale nonché tutta l’attività di accoglienza.
Condivide con il fratello il senso di responsabilità, passione e sensibilità per la propria terra, da cui deriva una forte identità territoriale, intesa come grande opportunità per mettere in luce prodotti e tradizioni della cultura locale, da proporre anche come tema per un turismo sempre più desideroso di scoprire la tipicità, la genuinità e l’autenticità. Entrambi fanno il proprio lavoro con onestà, umiltà, rispetto e un contegno morale e culturale che implica lo stesso riguardo anche nei confronti della natura nel suo complesso, in cui si fondono, cura e tutela delle vigne, delle cantine, dell’ambiente.
Quindi nessuna sostanza, né in vigna né in cantina, dove enzimi, lieviti, solfiti, che non siano quelli naturali, sono banditi. Tutto il processo di coltivazione e trasformazione del frutto è manuale e naturale, secondo l’antica saggezza contadina.
Umberto è un vignaiolo autentico, dotato d’immaginazione e coraggio nel minimizzare le avversità e le difficoltà, sempre pronto ad affrontare nuove sfide.
Uno de suoi vini di punta, il Sangue di Giuda Vigna Acqua calda, è stato il vino più bevuto all’Expo 2015, di Milano.

Umberto Quaquarini in barricaia

Poco più che cinquantenne (classe ’69), Umberto ne ha già fatta tanta di strada: “Mi sembra sia passato un secolo da quando facevo le elementari a Monteveneroso. Andavo a scuola a piedi, andata e ritorno, sempre da solo, nessuno mi ha mai portato o è venuto a prendermi. Nella stessa aula c’era la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta. Dopo le medie, a Stradella, ho fatto il Gallini a Voghera. Cinque anni nel collegio della scuola. Non ho mai potuto bigiare nemmeno un giorno, perché eravamo sempre strettamente controllati. Mi sono diplomato perito agrario. Poi ho fatto gli esami di ammissione e sono andato ad Alba, alla Scuola Enologica. Ho fatto quinta e sesta e sono diventato enotecnico. Mentre al Gallini i risultati erano tirati, lì, i primi due anni, ho preso due borse di studio: mi piaceva quel tipo di scuola. Poi mi sono laureato in Enologia all’Università di Viticoltura ed Enologia ad Alba. A ventitrè anni ho cominciato ad occuparmi in prima persona dell’Azienda di famiglia nella quale, comunque, avevo sempre fatto dei lavori, fin dall’età di sette o otto anni: non è stato un passaggio scuola lavoro ma una continuità. Avevamo anche un piccolo campo di mais e da bambino mi divertivo a raccogliere le pannocchie. Veniva il trattore con la cinghia e il battitore, le sgranava e mettevamo i chicchi sul granaio. Al mattino io li allargavo con il rastrello e alla sera li ammucchiavo per non lasciarli esposti all’umidità. Un altro mondo. Oggi è cambiato tutto, compreso il rapporto con i clienti. Per esempio, gli amici di mio padre erano amici di famiglia. Quando venivano a prendere il vino si sedevano al tavolo con noi, mangiavano con noi, qualcuno stava persino a dormire. Se mio padre andava da loro a consegnare il vino, veniva ospitato come uno di famiglia. C’era un legame umano molto forte. Oggi si fa tutto con le mail.
Siamo bio dal 2003.
Mia sorella Maria Teresa, mi è stata vicino in questo progetto, mi ha incoraggiato fin dall’inizio e si è occupata personalmente delle pratiche inerenti il rispetto delle regole dell’agricoltura biologica dettate dal Reg. CE 2092/91 e dalle molte integrazioni successive, che rendono la materia molto complessa. Lavoriamo i terreni il meno possibile. Custodiamo la terra e la salute della pianta cercando di non modificare la naturale fertilità del terreno e la sua attitudine ad autofertilizzarsi. Riduciamo al minimo anche le fertilizzazioni con concimi biologici, che apportano elementi estranei al delicato equilibrio fitogenetico. Inerbiamo le vigne, per favorire una naturale maturazione dell’uva, migliorandone così la qualità e combattendo gli effetti erosivi del terreno. Tagliamo l’erba e la lasciamo nell’interfile: è questo il concime. L’anello debole, ovvero la difesa della vite dai patogeni stagionali, lo affrontiamo con irrorazioni di solo rame e zolfo, quando è strettamente necessario”.
L’allevamento secondo natura della vite è una filiera ininterrotta di premure e di progressivo affinamento della sensibilità verso la terra e l’ambiente.
E la terra ti ripaga di queste premure con prodotti che hanno un valore aggiunto inestimabile.
Abolire diserbanti e disseccanti aumenta considerevolmente i costi di conduzione della vigna ma la qualità ottenuta, con il rispetto della natura, è impagabile, anche se non sempre è un valore che il mercato ti riconosce.
“In cantina non facciamo chiarifiche, non disperdiamo colloidi e la solforosa è nettamente sotto ai livelli consentiti anzi, alcuni nostri vini sono fatti completamente senza solfiti”.
L’etica naturalistica è una spinta al rispetto della terra e dei suoi prodotti.
Il consumatore finale è sempre più orientato a cercare il vino che segua i dettami biologici.
Purtroppo non così è per le figure intermedie della filiera, vale a dire rappresentanti, ristoratori e perfino enotecari.
È per questo che il vino biologico fa ancora fatica ad imporsi ma prima o poi il mercato saprà valorizzarlo come merita.
Umberto intanto continua a produrlo come la sua coscienza gli suggerisce, cioè genuino e non gli dà nemmeno troppa enfasi: “In etichetta scrivo ‘bio’ con un carattere piccolissimo. Non c’è bisogno di sbandierarlo. Il vino, quello vero, deve essere genuino e la genuinità non ha bisogno di certificazioni: io mi autocertifico con l’etica del mio lavoro”.
Nel 2017, lo sforzo dell’Azienda Quaquarini nella difesa del territorio e dell’ambiente e, di conseguenza, nel conseguimento della genuinità del prodotto, è stato riconosciuto con la Bandiera Verde Agricoltura, una benemerenza assegnata dalla Confederazione Italiana Agricoltori ad Aziende agricole, Regioni, Province, Comuni, Comunità montane e Parchi che si sono particolarmente distinti nelle politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio, anche a fini turistici, nell’uso razionale del suolo, nella valorizzazione dei prodotti tipici legati al territorio, nell’azione finalizzata a migliorare le condizioni di vita ed economiche, degli operatori agricoli e, più in generale, dei cittadini.
Il premio è stato consegnato personalmente dall’allora Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, nella cantina di Canneto Pavese: “È arrivato verso mezzogiorno ma, già dalle otto del mattino, avevamo in cantina Digos e carabinieri, in assetto di guerra. Con Martina siamo stati un’ora in campagna, in mezzo alle viti, a parlare di potature, inerbimento, invaiatura, tutte cose che lui capiva e dibatteva con grande competenza, grazie al suo diploma di perito agrario. Dopo la visita in cantina, abbiamo offerto a lui e alla scorta un piccolo rinfresco. Mio padre per l’occasione ha tagliato un cucito di quelli speciali e gliene ha offerto una fetta: ‘Ministar, càl mangia nà fètta ‘d salàm’. Lui però rifiutava. Ma mio padre insisteva e lui continuava a rifiutare. Sarebbero andati avanti così chissà per quanto se non fossero intervenute le guardie del corpo a dire che il ministro è vegano. Non si è però tirato indietro quando è stato il momento di assaggiare il Buttafuoco Storico Vigna Pregana, perché sapeva benissimo che per produrlo non erano state utilizzate sostanze di origine animale, né gelatine per chiarificarlo, nè colla di pesce, chitina, albumina, sangue di bue o tutte le altre diavolerie che le normative consentono ma che i vegani aborrono”.

La Vigna Pregana fa parte del patrimonio vitivinicolo di famiglia. Prende il nome, probabilmente, dalla cascina che c’è appena sotto alla vigna, detta Cascina ‘npregana.
È stata impiantata negli anni ’70 e rinnovata nel 2012, con barbatelle di Guido Golferenzo di Stradella, mantenendo le percentuali di uvaggio originarie: “Ci siamo sempre riforniti di barbatelle dal vivaio Golferenzo. Già mio padre si faceva sovrainnestare le viti dal padre di Guido, specie l’Ughetta di Canneto”.
La Vespolina, nell’area dei sette Comuni del comprensorio del Buttafuoco Storico (Canneto Pavese, Castana, Broni, Stradella, Montescano, Cigognola, Pietra Dè Giorgi), è chiamata rigorosamente Ughetta di Canneto ed è un vitigno fondamentale nel Buttafuoco.
In uno dei primi libri sull’ampelografia del nostro Paese, la ‘Pomona italiana’, il botanico Giorgio Gallesio citava, già all’inizio dell’’800, l’Uvetta, o Ughetta, dalla quale si ricavava un vino, secondo l’autore, ‘tra i più buoni d’Italia’.
Negli anni ’80, l’Ughetta, è stata oggetto di una ricerca da parte dell’Università di Piacenza che ha certificato la presenza di due ceppi originari (prefillossera) di quest’uva; uno nella  Vigna Pregana e l’altro nella Vigna Barbacarlo di Maga Lino, a Broni.
Nel corredo di uve che concorrono a fare il Buttafuoco Storico, l’Ughetta è quella che marca più decisamente la speziatura e ciò è dovuto ad una molecola non sintetizzabile chimicamente, il rotundone, un aroma primario, ritenuto il maggior responsabile delle note pepate. Più rotundone c’è nell’uva e più il vino è speziato: “Nel 2018, grazie ad uno studio condotto da tre ricercatori delle Università di Bologna, Boston e Saragozza, abbiamo scoperto che la nostra Ughetta contiene un’altissima percentuale di rotundone, esattamente cinquantatre volte più della media”.
Così come le altre vigne aziendali, la Pregana viene lavorata secondo i canoni dell’agricoltura biologica.
Il sistema di allevamento è a controspalliera e con potatura a guyot, che viene effettuata alla fine dell’inverno, lasciando uno sperone con tre gemme e un capo a frutto con quindici gemme.
Vendemmia a mano con cernita degli eventuali grappoli non idonei per produrre Buttafuoco Storico.

L’Azienda Quaquarini è iscritta al club del Buttafuoco Storco dal 1996 e Umberto fa parte del gruppo che lo ha fondato: “Allora avevo solo 26 anni ma avevo già intuito tutte le potenzialità del progetto”.

 

Buttafuoco Storico Vigna Pregana

La prima bottiglia di Buttafuoco Vigna Pregana, è del 1996, anno di fondazione del club  del Buttafuoco Storico.

 

 

 

Azienda Agricola Francesco Quaquarini
Via Casa Zambianchi 26
Canneto Pavese (PV)