Renato Boveri è nato a Monleale il 5 febbraio 1922 e il titolo di patriarca del vino dei Colli Tortonesi gli spetta di diritto.
La sua azienda è stata fondata a Monleale a metà del secolo scorso dal capostipite Bartolomeo e poi proseguita dal figlio Faustino, il quale ha posto le basi con semplicità e grande vigore, per una lunga discendenza di vignaioli rinomati, non solo in Piemonte.
Con il tempo l’azienda è cresciuta sino ad una estensione di otto ettari, “curati” nel vero senso della parola da Renato, aiutato dalla moglie Sonia e dai figli Fausto e Danilo.
Nell’azienda Boveri la saggezza contadina si fonde con le innovative tecniche di coltivazione: una difesa fitosanitaria, a basso impatto ambientale e una vinificazione sapiente.

Intervista del 02/02/2018 presso la casa natale di Renato.

domanda: Fra pochi giorni (il 5 marzo 2018) compirai 96 anni. Ce l’hai ancora la patente?
Renato: Proprio ieri (1° marzo) me l’hanno rinnovata fino al 2020 e l’ingegnere che me l’ha data, mi ha detto che mi aspetta per rinnovarmela per altri due.

d: Allora vai ancora sul trattore?
Renato: Si! Sul trattore, sulla macchina, per me è uguale.

d: Quanti trattori hai?
Renato: Sette e me li curo tutti io!

d: Ma cosa te ne fai di sette trattori?
Renato: Ad ognuno c’è attaccato il proprio macchinario (il rimorchio, la trincia ecc.), così son già pronti per quando devo andare in vigna.

d: Hai cominciato ad andare in vigna che non avevi neanche 10 anni. Te li ricordi quegli anni?
Renato: Mio padre Faustino mi ha messo sotto a lavorare in vigna che ero ancora un bambino.
Avevo otto anni e mio padre mi diceva: ”Alle quattro, finita la scuola, torna a casa, prendi il carro con i buoi e vieni nella vigna, che tagliamo l’erba da dar da mangiare alle bestie”.
Era sottufficiale di cavalleria e non scherzava. Si è fatto sette anni sotto le armi, senza mai venire a casa: cinque anni a Tripoli, poi in Albania e infine a Trento e Trieste.
A volte, perché capissi bene, batteva un pugno sul tavolo e io andavo coi buoi nella vigna senza discutere. Altro che studiare!
Tuttavia, ho preso lo stesso la licenza elementare.
Ho frequentato le scuole a Monleale, fino alla quarta poi, tutti i giorni a piedi, avanti e indietro, fino a Volpedo, dove ho fatto la quinta.
Però i miei tre figli li ho fatti studiare, fino a prendere la laurea, anche se da piccoli li facevo venire in cantina a darmi una mano.
Sul muro, a metà della scala che porta in cantina, c’è ancora l’impronta violacea della manina impregnata di vinaccia, che uno di loro ha stampato sull’intonaco bianco.
A tredici anni ero già un mezzo uomo.

d: Parli solo e sempre di lavoro. Ma ti sarai pure divertito da giovane?
Renato: Andavo a ballare, col chiaro di luna e con gli sci ai piedi. Aspettavo che passasse lo spartineve trainato dai buoi, poi sciavo fino a Montemarzino.
Scendevo giù in corso Roma, a Monleale basso e, di lì, mi facevo gli otto chilometri, fino alla balera.
Mi piaceva ballare. Certe volte, alla domenica, andavo con altri miei amici ballerini in giro a dare spettacolo.

d: E tua moglie Sonia, quando l’hai conosciuta?
Renato: Ci siamo incontrati, finita la guerra e ci siamo subito messi insieme. Lei ha due anni meno di me. In due facciamo 190 anni… di vino bisogna berne poco e buono!

Renato Boveri in cantina

Renato in cantina

d: Quest’anno farai la tua 86° vendemmia, un record difficilmente eguagliabile. Ti ricordi com’è stata la prima?
Renato: Della prima non mi ricordo molto ma nei miei ricordi c’è una vendemmia che non dimenticherò mai.
Era il 2 ottobre 1935. Io avevo 13 anni e Mussolini dichiarava guerra all’Abissinia.  
È cominciato a piovere al mattino presto e non ha più smesso per giorni e giorni.
Era la prima volta che vedevo raccogliere l’uva coi secchi.
Come mettevi giù il grappolo, si pigiava da solo, talmente era impregnato.
Io e un altro ragazzo della mia età, passavamo nella vigna con la bigoncia in spalla, a piedi scalzi e ci mettevano dentro i grappoli e, quando era piena, andavamo a vuotarla sul carro coi buoi che, non potendo entrare in mezzo alla vigna, restava ad aspettare sul sentiero.
Facevamo centinaia di metri, avanti e indietro per la vigna, su e giù, con il nostro carico sulle spalle.
Era una fortuna che salivamo scarichi ma, anche fare la discesa con quel peso sulle spalle, non era uno scherzo!
Abbiam portato in spalla 300 quintali d’uva in due, di corsa, perché la gente raccoglieva e l’uva non poteva restare tanto nelle ceste, perché colava e doveva essere portata alla svelta in cantina, per recuperare quel poco che si poteva.
Quelli che avevano i vigneti in alto, a Montemarzino e Monperone, riempivano i carri con quell’uva quasi marcia e, venendo giù sulla strada verso la cantina sociale, lasciavano una scia di mosto sullo sterrato.
La terra si era talmente tanto impregnata di succo d’uva che era diventata rossa.
Ma alla fine qualcosa si è salvato anche se il vino ottenuto non superava i 7/8 gradi.
Ancora una volta hanno ragione i proverbi: “l’è mej marsetta che bruschetta”, vale a dire che è ancora meglio l’uva, anche un po’ troppo avanti nella maturazione (marsetta), che l’uva acerba (bruschetta). Io ho sempre vendemmiato a ottobre, perché l’uva matura a ottobre e faccio così ancora oggi. Ma i tempi son cambiati, perché tutti vanno a gara a raccogliere l’una sempre più acerba.

d: Tu potresti essere considerato l’antesignano dei vini naturali perché hai sempre rispettato la vigna e ascoltato la voce della natura. Hai evitato di fare trattamenti che non fossero strettamente necessari, cosa che magari poteva renderti la vita più facile in campagna.
Renato: E’ vero. Ho sempre pensato che la terra bisogna prenderla com’è e io prendo quello che mi dà, così come me lo dà.
Io la terra non l’ho mai forzata, l’ho sempre rispettata e sono sicuro che in questo modo il prodotto che ottengo è genuino.
Dalle nostre parti c’è un proverbio che dice: “Al vin bòn às fa a cà di plandròn”, che vuol dire che il vino buono si fa in casa di quelli che non fanno troppe lavorazioni, né in campagna, né in cantina (pelandroni).
Io non ho mai aggiunto acqua alle mie vigne, anche nelle annate in cui erano aride.
Poi finisce che raccolgo l’uva quasi asciutta ma va bene così.
La vendemmia del 2015, per esempio, è stata talmente torrida che l’uva non ha quasi dato mosto. Sia Dolcetto che Barbera, che Cortese, che Timorasso. Anche la Croatina, che è l’ultima a maturare, ha sofferto.
L’uva migliore me l’ha data la vigna Sant’Ambrogio, che è a metà strada tra Monleale e Montemarzino, proprio dove c’è la cappelletta votiva del santo.
Sono quasi due ettari di viti molto vecchie, che sono lì dagli anni ’20, con delle radici che vanno a cercarsi l’acqua a fondo nel terreno.
Tanti, per raccogliere di più, hanno tenuto le vigne concimate, folte, con tutte le foglie sulle viti.
Io invece non do acqua, non concimo e comincio a defogliare a mano già in primavera e proseguo per tutta l’estate.
Lascio solo due foglie davanti al grappolo perché così prende meno malattie e di conseguenza faccio meno trattamenti.

d: Ho capito bene? Hai detto che la vigna Sant’Ambrogio è del 1920?
Renato: Sì! Ha quasi 100 anni. Dicono che sia la vigna più vecchia d’Italia. Ci son scienziati che vanno e vengono per studiarla.

Renato nella vigna Sant’Ambrogio

d: Hai la vigna più vecchia d’Italia e, fino a prova contraria, con i tuoi 96 anni sei il vignaiolo più longevo d’Italia. In tutti questi anni se mai stato in ospedale?
Renato: Due volte. La prima volta, il mese scorso, perché ho sbattuto il ginocchio e mi hanno portato al pronto soccorso e, la seconda, un bel po’ di anni fa, ma non mi ricordo esattamente quando. Però mi ricordo che sono stato un’ora e mezzo col cingolo che mi schiacciava le gambe. Il trattore mi era partito di colpo. Sapevo che c’era il burrone e ci sono arrivato fin sull’orlo. Poi per fortuna sono scivolato giù. Il trattore si è ribaltato e io son rimasto sotto.
Ero lì, da solo con Sonia, nella vigna e, solo dopo quasi due ore, mi han tirato fuori e portato in ospedale. Per il resto ho sempre dato ragione a mio nonno Bartolomeo che mi diceva: “Il dottore lo devi far te, perché i dottori van bene ad aggiustar le ossa e basta”.

Azienda Agricola Renato Boveri
Strada Costa del Ronco, 2 Monleale (AL)
tel. 0131-80560
fax: 0131-80560
email: boverivignaiolo@libero.it
totale superficie vitata: h 8
totale bottiglie prodotte: 20.000