Paella de marisco e Derthona “Cleonice”  DOC Colli Tortonesi Timorasso 2019 Azienda Agricola Fiordaliso

 

La Paella è una specialità gastronomica della città di Valencia, in cui si mescolano verdure, riso, carne di coniglio, pollo, anatra (tipici della campagna valenciana) e pesci (pescati nelle vicinanze della laguna dell’Albufera), oltre a culture e usanze che si tramandano di generazione in generazione, fin dal XV secolo.
Nata come pasto per contadini e pastori, prende il nome dalla pentola in cui viene cucinata; un tegame di ferro abbastanza spesso, largo e basso, con due manici contrapposti, detta appunto paella.
E’ diffusa in tutta la Spagna, anche se ogni zona ha la sua variante.
La ricetta tradizionale è quella della Paella alla Valenciana, protetta da un disciplinare (emanato dal Consiglio regolatore della denominazione di origine Arroz de Valencia), che prevede l’utilizzo di 10 ingredienti base (pollo, coniglio, taccole, fagioli bianchi, pomodoro, riso, olio, acqua, zafferano e sale) oltre al riso, generalmente quello a bomba, una varietà pregiata, con chicco rotondo, che assorbe tanta acqua, senza cedere in cottura.
La Paella de marisco è invece quella fatta con molluschi e crostacei: il riso viene cotto in un brodo di pesce, assieme a piselli, peperoni, zafferano, gamberi, scampi, vongole, cozze, calamari e seppie.
Una variante della marisco è la Paella de bogavante in cui l’ingrediente principale è l’aragosta.
Nella Paella negra (arròs negre) invece, diffusa prevalentemente in Catalogna e Galizia, al posto dello zafferano c’è il nero di seppia.
La Paella mixta è quella che mette insieme carne e pesce.
La versione qui proposta è quella de marisco ma senza verdure (solo un po’ di zafferano in pistilli per dare colore al piatto), così da incrementare maggiormente il sapore del pesce fresco.

Ingredienti
4 etti di riso bomba, 12 gamberi di Mazara, 12 scampi di Santa Margherita Ligure,  1 calamaro, 3 moscardini, 4 seppioline, mezzo kg. di  moscioli selvaggi di Portonovo, mezzo kg. di vongole veraci, mezzo grammo di zafferano in pistilli

  • Per il soffritto: 1 cipolla rossa di Tropea, mezzo bicchiere di olio evo 10% Italiano, un bicchiere di vino bianco secco
  • Per il brodo: 1 scorfano di medie dimensioni, 1 trancio di merluzzo di 300/400 gr., 1 mazzettino di prezzemolo, 1 gambo di sedano, 1 cipolla rossa di Tropea, 1 carota, 2 spicchi di aglio, 1 cucchiaio di olio evo 10% Italiano, 3 o 4 foglie di alloro, sale e pepe da macinare

 

 

Preparazione
Indosso una camicia hawaiana, illudendomi di poter ricreare in cucina il puerto escondido che, ahimè, non c’è fuori dalla finestra.
Mi consolo con un Luogo d’Agosto VSQ Pinot Nero Spumante Metodo Classico di Alessio Brandolini.
Un vino di grande fragranza e finezza, con sentori di pera e frutti tropicali che il naso assorbe e coccola a lungo, così come è lungo al palato, tanto che ti appaga fin dal primo sorso.
La gola, stupendamente irrorata, manda inequivocabili messaggi a tutto il resto del corpo, compresa la mente che, a volte, non ha bisogno dell’atto biologico per sciogliersi in rigagnoli di piacere.
Accendo “The Power of Love” e i Frankie Goes To Holywood mi sussurrano “fà dell’amore la tua mèta…”. Chiudo gli occhi e me lo faccio ripetere più e più volte e alla fine mi lascio soppraffare dal potere dell’amore e, con tutto l’amore di cui sono capace, mi preparo alla…

Esecuzione

Per primo, preparo il brodo.
Pulisco lo scorfano eviscerandolo.
In una pentola colma d’acqua, metto lo scorfano con il trancio di merluzzo, tutti gli altri ingredienti indicati e faccio bollire a fuoco lento per un paio d’ore.
Filtro il brodo e lo lascio in caldo.
Faccio una piccola incisione nel carapace a livello dell’addome dei gamberi e degli scampi e ne estraggo il filo intestinale.
Verso un po’ d’acqua in una capace padella, ci metto dentro i moscioli e accendo il fuoco. Quando tutte le valve sono aperte, li tolgo e li metto da parte. Filtro il liquido di cottura con un colino fine per trattenere eventuali residui sabbiosi e lo aggiungo al brodo che ho preparato.
Faccio lo stesso con le vongole veraci.
Pulisco le seppioline, i moscardini, il calamaro e li taglio a piccole strisce.
Prendo la padella di ferro e la metto sul fuoco con l’olio, vi grattugio dentro la cipolla di Tropea trasformandola in un omogeneizzato cremoso, ci verso sopra il riso e amalgamo con una marisa, finchè la crema di cipolla si sarà sciolta sulle bacche che nel frattempo si saranno tostate.
Sfumo con il vino bianco secco e sono pronto per dare un senso alla Paella.
Verso un po’ di brodo caldo nella padella e aggiungo le seppioline, i moscardini e il calamaro che hanno bisogno di un tempo di cottura più lungo.
Quando il brodo comincia a restringersi ne metto un altro mestolo, poi comincio ad incorporare gamberi e scampi posizionandoli a raggiera, alternati l’uno all’altro.
Aggiungo ancora un paio di mestoli di brodo, lo zafferano in pistilli e, alla fine, i mitili che abbisognano di un tempo di cottura più breve.
Porto in tavola la Paella nella sua Paella che farà da piatto di portata, dal quale attingeranno tutti i commensali (in fondo patella in latino vuol dire proprio piatto).

 

Vino abbinato: Derthona “Cleonice” DOC Colli Tortonesi Timorasso 2019 Azienda Agricola Fiordaliso

La Paella, ovviamente, è molto più di un risotto e, data la ricchezza degli ingredienti e dei sapori molto decisi, va accompagnata con un vino che sappia reggere l’accostamento.
Non a caso la tradizione spagnola la vuole abbinata a un bicchiere di sangria, una bevanda alcolica molto robusta a base, prevalentemente, di vino rosso (di qui l’origine del nome sangria, per il colore simile al sangue), spezie, frutta, zucchero e limone.
In Catalogna si fa una sangria con vini spumanti o bianchi frizzanti, detta sangria de cava.
La nostra sangria de cava è un vino che si ottiene da uve Timorasso dei Colli Tortonesi: il Derthona Cleonice DOC Colli Tortonesi Timorasso 2019 dell’Azienda Agricola Fiordaliso.
L’Azienda è intestata ad Alessandro Bressan, che si occupa dei vigneti e della cantina. Gli dà una grossa mano la mamma Rosanna (che lo sostiene in tutte le sue decisioni) e, fino al novembre 2023, ha potuto avvalersi anche della collaborazione di Massimo, suo fratello che, all’età di 52 anni, è prematuramente volato nelle vigne del cielo.
Ha sede a Volpeglino (AL), nei Colli Tortonesi, con 6 ettari di proprietà.
Le vigne, alcune vecchie anche di 70 anni,  sono di Barbera, Croatina e Timorasso.
Quest’ultima varietà rappresenta il vero fiore all’occhiello della produzione di Alessandro, il quale ha scelto proprio un fiore, il fiordaliso, come marchio aziendale, per una sorta di omaggio al padre Silvestro, che aveva la consuetudine di arrivare a casa dalla vigna con un mazzo di fiori selvatici, spesso fiordalisi, da regalare a Rosanna.
Alessandro, seguendo l’esempio (e i suggerimenti) di Walter Massa, ha messo a dimora le barbatelle di Timorasso, intorno al 2010 e, la sua prima bottiglia del vino icona dei Colli Tortonesi, è del 2014.
Alessandro, classe ’68, nasce a Tortona, il 14 ottobre, in un periodo in cui suo padre probabilmente era in vigna a raccogliere uva, in quanto, a quel tempo, le vendemmie non erano così precoci come oggi.
Di indole pacata, tranquilla, ha un viso gioviale, sempre sorridente, che fa da contralto alla sua cospicua stazza fisica che, però non ti mette soggezione, grazie alla sua affabilità, mitezza e sensibilità.
Potresti quasi definirlo un tipo timido non tanto avvezzo a parlare in mezzo alla gente  ma, quando è in familiarità con amici o persone con cui è in confidenza, diventa loquace, comunicativo e ti contagia con la sua umanità e la sua energia di contadino verace.
Ad un certo punto della sua vita, papà Silvestro viene a mancare e lui non ci pensa due volte a lasciare un impiego sicuro per prendersi cura delle vigne di famiglia.
Seguendo gli insegnamenti paterni, si smarca dal sistema perverso che ti omologa ai robot dell’industria e instaura una speciale dedizione con la terra, la sua terra, con l’animo umile del fanciullino e tanta fierezza da mitigare la durezza del mondo contadino.
Proprio dalla terra comincia la sua mission: rispetto e cura delle viti, ripetuti sfalci dell’erba, sfoltimento dei tralci a frutto e diradamenti nel periodo di invaiatura, vendemmie manuali, rese basse (meno di 50 q.li per ettaro), selezione e lavorazione delle uve fresche nell’arco delle due o tre ore successive al loro distacco, mantenimento e valorizzazione dei vigneti originari e rigenerazione di quelli più vecchi, per tenere viva la storia e la cultura del territorio.
E in cantina massima funzionalità e qualità delle tecnologie, solo ed esclusivamente quelle che servono alla trasformazione dell’uva in vino.
L’utilizzo dei concimi è ridotto al minimo, così come il ricorso dei trattamenti in vigna.
Per Alessandro il vino dev’essere genuino, naturale, come il vino delle origini e lo fa, senza lasciarsi irretire dai metodi che potrebbero essere più produttivi ma che ne guasterebbero l’autenticità.
Il risultato è l’accrescimento esponenziale della propria FIL (Felicità Interna Lorda) e l’ottenimento (come direbbe Walter Massa, “perché il vino non si produce bensì si ottiene”) di vini come il Derthona “Cleonice” DOC Colli Tortonesi Timorasso 2019, che abbiamo abbinato alla Paella de marisco.
Il colore è di un bel giallo paglierino intenso e brillante.
Al naso profuma di fiori bianchi, pietra focaia, mela matura, pera, con un finale leggermente agrumato.
Assaggiandolo si percepisce subito il suo grande carattere, che s’intensifica con un’accesa sapidità tipica del vitigno.
Un vino succoso, accattivante che ti prende per mano e ti conduce nei recessi della memoria dove puoi scovare una fuga di Coppi Fausto da Castellania (distante una manciata di chilometri da Volpeglino), col corpo intrecciato alla bicicletta e gambe coinvolte in rovinose cadute, nella fatica e sofferenza di vivere; o lo stupore di una tela di Piero Leddi da San Sebastiano Curone (dalla cima di Volpeglino puoi vederlo in lontananza), che ti fa sentire con gli occhi il travaglio esistenziale dell’uomo e delle sue fatiche nel costante rapporto con la natura.
Riassaggiandolo riconferma la sua complessità, colma di pregevoli sfumature, un nerbo teso, spesso e un carattere che cresce euforicamente.
Riannusandolo ti arriva deciso un nuovo aroma intrigante, quello del Montebore di Mongiardino, anzi della crosta del Montebore, un antico formaggio del Tortonese, sopravvissuto grazie alla tenacia di contadini e casari che non si sono arresi alla sua scomparsa.
Nel riassaggiarlo ancora, ti accorgi che il vino è finito e il bicchiere è vuoto ma puoi ancora annusarlo per coglierne gli effluvi che persistono caparbiamente aggrappati al vetro: un’albicocca sciroppata della Montemarzina, un’alga secca, del vicino Mar Ligure, grattugiata e impastata con olio di nocciole tostate, i petali del fiore di pesco di Volpedo, sparsi a terra nel loro letto bianco, iridescente.

Azienda Agricola Fiordaliso, Volpeglino (AL)