Zuppa di pescatrice, porri, aneto e Pinot Nero Metodo Classico DOCG 2017 Brut Cà del Gè
La Rana pescatrice, detta anche rospo o coda di rospo, ha il suo habitat ideale su fondi sabbiosi e fangosi non molto profondi anche se alcuni esemplari, che arrivano a 2 metri di lunghezza e 40 kg di peso, possono raggiungere profondità notevoli, che toccano i 1000 metri.
E’ un pesce di medio-grandi dimensioni con una grande bocca dotata di denti robusti, molto acuti e rivolti all’interno.
E’ molto diffusa nel mar Adriatico ma è presente in tutto il bacino del Mediterraneo e vive mimetizzata sul fondo marino, in attesa delle sue prede che cattura agitando il filamento posto sul bordo superiore della bocca.
Viene pescata con reti a strascico e la sua carne è ottima lessa, al vapore, grigliata, al forno, cotta in padella o nella versione zuppa qui proposta.
In Francia è chiamata lotte ed è molto apprezzata nella cucina bretone, in una preparazione detta all’armoricana, dal nome che nell’antichità era dato all’odierna Bretagna (in gallico armoar significa costa), insaporita in una salsa di pomodoro e aromatizzata con vino o cognac.
Ingredienti
- Per il brodo: 1 scorfano, 4 triglie, 2 spicchi di aglio, una foglia di alloro, 5 foglie di basilico, 1 piccolo scalogno tagliato in 4 parti, 1 gambo di sedano e 1 cucchiaio di olio evo 100% Italiano
- Per la zuppa: 4 tranci di pescatrice di circa 150 gr cad., 1 cipollotto rosso di medie dimensioni, i gambo di porro, una presina di semi di aneto, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 250 cl. di olio evo 100% Italiano, sale e pepe da macinare
Preparazione
Mi metto una camicia di lino e stappo un Frascati Superiore Racemo 2018 de L’Olivella. Una DOC in cui si fondono Malvasia puntinata, Trebbiano toscano, Malvasia di Candia, Bellone e Grechetto.
I profumi intriganti di fiori di campo e frutti polposi sono sorretti da un’acidità molto tonica.
Sembra una Vernaccia e invece siamo sui Colli Romani.
Roma con la sua grande storia. Storia legata come non mai al vino da diventare Roma caput vini, imponendo, a tutti i popoli sottomessi di piantare la sacra vite prima di ogni altra coltura. E pensare che la passione per il vino dei Romani era appannaggio solo degli uomini. Le donne non potevano bere vino e, quelle che venivano pizzicate a farlo, subivano una sorte tremenda. Dalle cronache del tempo dell’Impero di Romolo, si legge che, un certo cavaliere Ignazio Mecennio, uccise con le sue mani la moglie perchè aveva bevuto vino. Si accorse che aveva bevuto baciandola sulla bocca e, ravvisandone l’alito alcoolico, la soppresse a colpi di bastone. La legge era dalla sua parte in quanto la donna aveva commesso un delitto considerato grave, come l’adulterio e passibile della stessa pena.
Veramente la pena avrebbe dovuto essere la morte per inedia, murata nel carcere famigliare e non so proprio, delle due, quale fosse più crudele.
Bevo un altro sorso e brindo all’anima della sventurata moglie di Ignazio che adesso sarà nel suo nirvana a bere senza più limiti.
Schiaccio play e sento elevarsi le melodie dei Carmina Burana.
Sposto la traccia sui “Carmina Lusorum e Potatorum”, perchè sono canti bacchici e lascio che mi accompagnino convivialmente alla…
Esecuzione
Pulisco scorfano e triglie e li faccio bollire con gli spicchi d’aglio, l’alloro, il basilico, lo scalogno, il sedano e l’olio evo 100% Italiano: riduco di un terzo, filtro e metto da parte il brodo.
Metto i tranci di pescatrice in un tegame, con l’olio evo 100% Italiano e li faccio soffriggere per alcuni minuti, assieme al porro e al cipollotto rosso in piccoli tranci.
Verso sopra il vino bianco secco e lascio sfumare, poi aggiungo il brodo di pesce che avevo tenuto da parte, v’incorporo l’aneto e porto a cottura.
Servo in una ciotola fonda e larga.
L’abbinamento scelto è un Pinot Nero Metodo Classico DOCG 2017 Brut, sboccatura maggio 2024, dell’Azienda Cà del Gè, di Montalto Pavese, località Cà del Gè.
Uno spumante millesimato che, con l’annata 2007, si è aggiudicato il diploma di merito al primo Concorso Nazionale Vini da Pesce, tenutosi, nel 2012, ad Ancona, capoluogo marchigiano posto sul promontorio del Monte Conero, nella cui baia, assieme al Mosciolo Selvatico di Portonovo, la coda di rospo è regina.
I fratelli Sara, Stefania e Carlo Padroggi, che gestiscono l’Azienda Cà del Gè, sono vignaioli alle prese con un progetto agricolo, economico ed etico, che hanno ereditato dal padre Enzo nel 1985 e a cui hanno dato una precisa identità, con il recupero delle tipicità, dei valori storici e dei vitigni autoctoni.
Dai 20 ettari di vigneto iniziali sono arrivati a coltivarne 47, suddivisi su due Comuni: Montalto Pavese, dove si trova la sede aziendale e Cigognola.
Aderiscono al progetto Vigneti e Natura in Oltrepo Pavese, che tutela la biodiversità e si attengono a pratiche di basso impatto ambientale, facendo propria la filosofia di Stefano Bellotti, il partigiano della Resistenza Naturale, laddove sostiene che: “Il prodotto agricolo è un fiore che sboccia dall’incontro d’amore tra la creatività della natura e quella dell’uomo”.
Le bottiglie annualmente prodotte sono circa 170.000, di cui un quarto di Metodo Classico.
Anche se tutti fanno un po’ di tutto, ognuno ha dei compiti ben precisi:
-Carlo è il vignaiolo che si prende cura della terra in modo virtuoso ripristinando gli equilibri della natura, rispettando i terreni e utilizzando tecniche tradizionali (ma anche innovative) con effetto il meno invasivo possibile, sul normale sviluppo delle piante
-Stefania è l’enologo/cantiniera, vinifica utilizzando lieviti indigeni e con un uso limitato di solforosa
-Sara si occupa di Amministrazione/marketing e accoglienza.
Il loro impegno negli ultimi anni si è rivolto soprattutto alla valorizzazione di ogni singolo cru aziendale.
Tra i loro progetti c’è anche quello di incrementare la linea Metodo Classico.
All’etichetta storica sono stati affiancati nuovi prodotti che soddisfano la richiesta di mercato più immediata e il Millesimato potrà così essere destinato ad affinamenti più lunghi (60-90 mesi).
Per queste tipologie di vini, le uve Pinot Nero in purezza, selezionate in vendemmia e raccolte manualmente, sono sottoposte a pressatura soffice.
Il mosto fermenta a temperatura controllata in acciaio.
Nella primavera successiva il vino base viene messo in bottiglie che rimangono coricate orizzontalmente in cataste per 36/48 mesi e alcune, come questo 2018, anche più a lungo, per poi essere sottoposte a tutte le lavorazioni del Metodo Classico.
La bottiglia scelta per l’abbinamento con la zuppa di pescatrice ha un colore giallo paglierino, con una luce brillante e intensa.
Perlage elegante e persistente.
Grande ampiezza di profumi freschi e briosi, che rimandano alla fragranza tipica del Pinot Nero, ai suoi aromi fruttati, alle note minerali che scalpitano nel bicchiere e contribuiscono ad aggiungere vivacità.
In bocca si amplifica la freschezza e gli agrumi sgomitano per non farsi sopraffare dalla incipiente sapidità.
Il profilo aromatico è esaltato dalle bollicine fini, armoniose, abbondanti e cremose in una deliziosa avvolgenza che allunga la persistenza gustativa.
È intrigante, con accenti aggraziati ed eleganti che t’invogliano a finire il bicchiere.
E poi a riempirne un altro.
Azienda Agricola Cà del Gè, località Cà del Gè, Montalto Pavese (PV)